Il brivido che ha percorso la sala quando Marco Travaglio ha detto che Buttiglione voleva fare “il ministro europeo” somigliava a quello che, al circo, impietrisce il pubblico quando il trapezista perde per un istante il suo attrezzo e quasi cade. Una piccola imprecisione, pesante solo per gli spettatori Bruxelles. La conferma che l’Europa fuori dell’Europa è un genere con la nebbia incorporata. Solo un attimo, uno solo. Non intacca il successo di Travaglio, Isabella Ferrari e gli organizzatori della Beitlive. Una serata magica per loro, tragica per il pubblico messo di fronte al peggio (reale) dell’Italia, portato per mano a ridere (giustamente) anche di se stesso. Politica e giornali nel mirino, senza pietà, con un senso del palcoscenico e tempi teatrali precisi. Più le parole del maestro Montanelli, registrate o interpretate da una composta e montianamente sobria Ferrari. Inevitabile l’amaro in bocca alla fine, quando il giornalista confessa di non aver mai visto un pubblico così, il che ha buone chance di essere vero. Ma, nella notte d’autunno già profondo bruxellese, mentre riaffioravano nella testa le parole sull’Italia che affonda, affiorava un ultimo pensiero suggerito dal confronto. Indro era duro, aveva una scrittura fantastica. Anche Marco è duro e scrive (e parla/recita) con talento da vendere. Però Indro in ogni articolo concedeva il dono della speranza, un sospiro di possibile redenzione, dopo ogni colpo di sciabola. Travaglio si ferma un passo prima. Come se solo la distruzione potesse essere garanzia della ricostruzione. Il che non è necessariamente vero.
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