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Home » Editoriali » Il passaporto della protesta

Il passaporto della protesta

Diego Marani di Diego Marani
9 Gennaio 2013
in Editoriali

Dopo Gérard Depardieu, anche Brigitte Bardot medita di chiedere il passaporto russo. Non per scansare le tasse francesi, come il suo collega, ma per protestare contro l’abbattimento di due elefanti malati dello zoo di Lione. La vetusta stella del cinema francese dice che non vuole vivere in un paese che si è trasformato in un cimitero per animali. A prescindere dalla futilità della causa, pare dunque che anche i ricconi protestino. Per i motivi che riescono a smuoverli. E con originali metodi. Fra i comuni mortali c’è chi per protesta si incatena alla porta di una chiesa, chi fa lo sciopero della fame, chi si arrampica sul tetto di una fabbrica, chi scende in una miniera, chi brucia autoblindo. Nella jet society invece per protestare si chiede il passaporto russo. Ma cambiare passaporto è un gesto che, se portato fino in fondo, non è banale. Comporta un cambio di identità, di lingua, anche di patria. Bisogna almeno riuscire a leggerlo il proprio passaporto.Scriveva Cioran: “Non si abita un paese ma una lingua; una patria è questo e nient’altro”.

Sono pronti Depardieu e Bardot alla loro nuova patria russa? Saranno costretti a un corso di russificazione simile a quelli cui vengono sottoposti gli immigrati in molti paesi europei? Bisognerà che non sfugga all’attenzione dei sociologi questa nuova forma di emigrazione. E non è che l’inizio. (Ce n’est qu’un début, le combat continue!) Presto sarà necessario allestire campi profughi per celebrità in fuga. Il caso conferma quel che è sotto gli occhi di tutti: l’Internazionale dei lavoratori non può esistere, perché fra poveri ci si scanna per rubarsi il lavoro. La Fiat chiude qui e apre là. Prospera invece quella dei ricchi perseguitati. Evasori di tutto il mondo unitevi…

Ma allora anche noi vogliamo chiedere un passaporto per protesta. Così solo per dare fastidio, andiamo tutti a all’ambasciata di Nauru  a riempire un formulario di cittadinanza. Ridente isola del Pacifico, neanche diecimila abitanti, punto esatto del cambio di data, quando qui è ieri a Nauru è già domani: il futuro è sempre garantito. La lingua non è troppo difficile, famiglia austronesiana, più antica e più grande dell’indoeuropea, si caratterizza per la reduplicazione, cioè la ripetizione del sostantivo. Come in italiano: tran tran, via via, lecca lecca. Così se non avete capito la prima volta, c’è sempre una seconda. Unico difetto dell’isola: era una colonia tedesca. Ma hanno lasciato poco, solo la parola Gott per dire Dio. Ciao invece si dice “tarawong”. Forza Nauru.

Diego Marani

Tags: bardotdepardieumaranipassaporto

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