L’Unione europea è in procinto di pubblicare le nuove linee guida per fare in modo che i suoi fondi non vengano investiti nei territori occupati della Palestina. Una decisione, ampiamente anticipata, ma che sta creando molte polemiche in Israele con il portavoce dei coloni che ha chiesto al governo di Tel Aviv di bloccare per rappresaglia anche i progetti destinati ai palestinesi.
Inizialmente la stampa israeliana aveva parlato di un direttiva che impediva ai 28 Stati membri di avere rapporti con le colonie, ma oggi Maja Kocijancic, portavoce di Catherine Ashton, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, ha specificato che il provvedimento “riguarda soltanto i programmi Ue, quelli che vengono finanziati con il budget comunitario”, ma “non è vincolante per gli Stati”. Si tratta di un provvedimento interno al prossimo bilancio pluriennale, quello per il periodo 2014-20, che copre ogni programma di cooperazione e ricerca ma non intacca il commercio di beni.
“Il Consiglio Affari esteri dicembre ha sottolineato nelle sue conclusioni l’importanza di limitare l’applicazione degli accordi con Israele ai territori riconosciuto dall’Ue” ha ricordato Kocijancic. Con la pubblicazione nella gazzetta ufficiale questo venerdì delle nuove linee guida “tutti gli accordi tra Israele e Ue dovranno specificare che si applicano solo ai territori del 1967”, questo perché, ha sottolineato la portavoce, “i territori occupati dopo il 1967 sono illegale secondo la legge internazionale” e Bruxelles non riconosce a Tel Aviv alcuna sovranità su di essi. Questo però, ha continuato la portavoce della Ashton, non significa che verranno meno “le nuove opportunità offerte dalla Politica europea di vicinato” che danno diritto ad Israele “a partecipare ad alcuni programmi Ue e ad accedere a strumenti di finanziamento” previsti dal nuovo quadro finanziario pluriennale, come ad esempio il “il programma Horizon 2020 su ricerca e innovazione”.
Secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz, un alto funzionario israeliano aveva definito ieri, “un terremoto” questo provvedimento, perché è la “prima volta che una tale linea guida diventa ufficiale per un copro dell’Unione europea”, prima invece “la regola era comunque attiva ma non era mai stata formalizzata”.
Nei territori occupati da Israele dopo il 1967 vivono circa 500mila coloni che controllano il 43% dei territori tra Cisgiordania e Gerusalemme est e la maggior parte delle risorse naturali e idriche.
Secondo un rapporto redatto alcuni mesi fa da da una coalizione di 22 organizzazioni non governative, gli Stati europei hanno un volume di affari con loro 100 volte superiore a quello che hanno con i palestinesi. E come se non bastasse, secondo lo studio l’Ue non riesce a indirizzare bene la sua cooperazione con lo Stato di Israele e più di una volta i suoi fondi sono finiti anche al supporto degli insediamenti. Almeno questo da venerdì prossimo sarà molto più difficile che possa accadere.
Le critiche al provvedimento di Bruxelles sono arrivate sia da esponenti del governo di Tel Aviv che dai coloni. “Tutti progetti europei (per Palestinesi, ndr) in Giudea e Samaria devono essere bloccati fino a quando questa decisione unilaterale non sarà fermata” ha dichiarato il Consiglio degli ebrei di Giudea, Samaria e Striscia di Gaza. Dura la risposta anche del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. “Non accetteremo – ha detto Netanyahu – alcun diktat esterno su nostri confini”. Quello dei territori occupati, ha aggiunto il premier, “è un argomento che potrà essere deciso solo in negoziati diretti tra le parti”. Anche il vice ministro degli Esteri, Zeev Elkin, ha definito la decisione “molto significativa e preoccupante” aggiungendo che “certamente non aiuta a migliorare il clima dei negoziati di pace ma anzi incita i palestinesi a non tornare al tavolo delle trattative”.