Stupisce molto l’editoriale di Lucrezia Reichlin sulla prima pagina del «Corriere della Sera» del 30 ottobre, dal titolo: “Doveva rompersi, ora è troppo forte: l’euro vicino a quota 1,40”. L’inizio sembra quello di un dilettante allo sbaraglio in un thriller di serie B: «La famosa “maledizione dell’euro” colpisce ancora». Quale maledizione? Sarà pure famosa, ma poiché non ne ho mai sentito parlare, sarebbe interessante conoscere dalla “principessa comunista”, come l’ha soprannominata Dagospia, figlia di Luciana Castellina e del famoso economista del PCI Alfredo e ora banchiera, di cosa si tratta.
La Reichlin sembra sorpresa che nonostante la ripresa europea (-0,4% nel 2013 e solo +1% nel 2014) sembri più fragile di quella americana (rispettivamente +1,6% e 2,6%) l’euro continui ad apprezzarsi rispetto al dollaro. E poi fa la solita, banale, piccola lezioncina: «Con una moneta forte le nostre merci all’estero sono più care». Ma guarda un po’! Non lo sapevamo.
Consiglio alla Reichlin di rileggersi (o leggere per la prima volta) qualche breve manuale di politica economica. Tutto allora le apparirebbe più chiaro. Vediamo i dati.
Nel 2009, la parte corrente della bilancia dei pagamenti di tutti i paesi dell’Eurozona era più o meno in equilibrio. Quest’anno, il surplus della parte corrente sarà di circa 250 miliardi di dollari, il 2,3% del PIL. Non sono più soltanto la Germania e l’Olanda a registrare surplus enormi ed economicamente “sopra le linee”: il 6,8% del PIL per la Germania e un assurdo 10,6% per l’Olanda (non sarebbe arrivato il tempo ormai che l’Europa imponesse dei tetti non solo al deficit pubblico ma anche ai surplus della bilancia dei pagamenti?). Ma anche l’Italia e la Spagna sono passate da una fase di deficit a una di surplus. Quello italiano, dopo un deficit di oltre 60 miliardi l’anno nel 2010 e nel 2011, nei dodici mesi terminati ad agosto 2013 era di 11,5 miliardi di dollari, lo 0,5% del PIL. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il surplus complessivo dell’Eurozona l’anno prossimo dovrebbe raggiungere il 2,5% del PIL. Gli Stati Uniti, dal canto loro, rimangono inchiodati a un deficit di 420 miliardi.
Se i testi universitari di Politica Economica contengono una qualche verità, si capisce fin troppo bene perché l’euro si apprezza nei confronti del dollaro. È la conseguenza normale del fatto che un’area economica ha un enorme surplus nella bilancia dei pagamenti (addirittura, sempre secondo i manuali, troppo alto) e gli Stati Uniti hanno un deficit cronico.
Prima della crisi del 2011 la Spagna e l’Italia importavano troppo, creando così un deficit nella parte corrente della bilancia dei pagamenti. La crisi ha fortemente ridimensionato le importazioni (insieme a una certa dinamicità delle esportazioni) riportando questi paesi in surplus. Questo significa che questi paesi non solo non hanno bisogno di importare capitali dall’estero per finanziare il deficit, ma essendo ormai paesi creditori sull’estero possono ridurre la loro dipendenza dagli investitori stranieri per finanziare il debito pubblico. Nella prima parte del 2013, sia la Spagna che l’Italia hanno finanziato con il risparmio domestico quasi il 100% dell’emissione di buoni del tesoro e BTP, cosicché attualmente circa il 70% del debito spagnolo e il 60% di quello italiano sono in mano a creditori nazionali. È vero che questo è stato dovuto in parte alle operazioni di Long Term Refinancing Operations (LTRO) della BCE nei confronti delle banche, l’equivalente del quantitative easing americano. Le banche hanno per la maggior parte investito questi soldi per comprare BTP, lucrando sui differenziali d’interesse e usandoli come collaterale per avere altri prestiti dalla BCE. Per i governi, il fatto che il debito pubblico sia nelle mani dei cittadini nazionali ha diversi vantaggi: da una parte una bella fetta degli interessi pagati va nelle tasche dei risparmiatori italiani e delle banche (e non a rimpinzare le casse delle grandi banche internazionali). Se la bilancia dei pagamenti rimane in surplus, sia la Spagna che l’Italia possono continuare a ridurre la loro esposizione.
Tra l’altro, se guardassimo al debito europeo nel suo complesso, il fatto che sia sempre di più nelle mani di cittadini europei riduce di molto il rischio di default. Conosciamo tutti il caso del Giappone, che nonostante abbia un debito pubblico superiore al 200% lo può ancora finanziare a bassissimo costo (i BTP giapponesi a dieci anni rendono solo lo 0,6%) poiché quasi tutto sta nelle tasche dei cittadini giapponesi.
Cosa succederà all’euro nei prossimi mesi? Continuerà ad apprezzarsi, come nelle ultime settimane, oppure scenderà? Molto dipenderà dalle decisioni che il governo americano sarà in grado di prendere quando si riproporrà il debt ceiling a febbraio del 2014 ((Voli sull’orlo dell’abisso – Last minute).). Ma anche la situazione strutturale della competitività delle economie conterà.
In generale, quello che possiamo prevedere nei prossimi mesi dovrebbe essere una continua crescita dell’euro nei confronti del dollaro. Non è neanche da escludere che l’euro s’impenni a valori mai visti prima. In questo caso una rivalutazione estrema si prenderebbe carico di eliminare il surplus. Il problema naturalmente è che un forte aumento dell’euro non contribuirebbe certo al riaggiustamento interno all’Europa. Paesi come la Spagna e l’Italia potrebbero ricadere in una situazione di deficit, evento da scongiurare a tutti i costi poiché potrebbe avere conseguenze sulla sostenibilità del debito. La Reichlin invita la BCE ad agire se la dinamica dell’euro dovesse essere quella prevista. «Ci auguriamo che lo faccia con forza, utilizzando le cartucce che ha ancora a disposizione», conclude. Quali cartucce? Sarebbe interessante saperlo. A meno che non siano “cartine”, come dice spesso l’attaccante della Roma Florenzi: «Nel secondo tempo ho esaurito le cartine!».
Elido Fazi