Credevo davvero sarei riuscito finalmente a parlarvi di quando la mia fidanzata ha visto 2001 Odissea nello spazio, poi invece ho visto per caso un video su Youtube, ho cambiato idea.
C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un chitarrista mostruoso, che irruppe nella scena rock di fine anni ’80 come un fulmine a ciel sereno.
I lettori non interessati ai chitarristi rock possono direttamente cliccare questo link, e ci si rivede la settimana prossima.
Quelli invece che stanno continuando a leggere, avranno il piacere di sapere che il sottoscritto io me medesimo, aveva accolto l’avvento di questo glorioso suonatore delle sei corde con devozione e stupore giusto nel 1988.
Il 1988 infatti, non è soltanto l’anno di uscita di quel capolavoro che è “…And justice for all” dei Metallica, cosa sulla quale sono sicuro, nessuno di voi aveva il minimo dubbio.
Il 1988 è anche l’anno di uscita di “No rest for the wicked”, quinto album solita di Ozzy Osbourne dopo essere stato cacciato dai Black Sabbath. Alla chitarra, il giovanissimo Zakk Wylde.
Io me la meno sempre un po’ che a 19 anni ho cominciato a suonare negli Africa Unite, poi penso a Zakk che a 19 anni ha cominciato a suonare con Ozzy, e mi dico, voglia scusarmi l’editore, mi dico Ruggero, stai cacato.
Ad ogni modo, il suono di Zakk Wilde era impressionante, riff ammazza-orecchie e assoli furibondi, una valanga di note su scala pentatonica tutte plettrate alla velocità della luce, in un momento in cui la chitarra metal andava in direzione opposta, scale minori, arpeggi diminuiti, legati, tapping e leva a manetta.
Back to the roots, in un momento in cui Back to the roots era un po’ da sfigati.
Come se non bastasse, le mai celate influenze di Zakk erano, oltre ovviamente all’hard rock, il southern rock alla Lynyrd Skynyrd e il country.
Se pensate che Bon Jovi e Motley Crüe, che per altro adoro, erano ancora lì impagliati nei loro capelli cotonati, a fare video con tette di fuori e macchine di lusso, poi arriva questo che a diciannove anni suona come un mostro e dice che gli piace il country, beh potete capire che quantomeno c’era da rimanerci di stucco.
In tutto questo, io passavo le giornate in cameretta a tirarmi giù i suoi riff e i suoi assoli dal vinile, che mica c’era YouTube, orecchio, olio di gomito, aria e pedalare.
Zakk se ne uscì poi qualche anno dopo col progetto Pride & Glory, che fu per me una rivelazione.
Le mucche in copertina prima di allora le avevano osate solo i Pink Floyd, i metallari in copertina ci mettevano delle fighe o delle moto, nella migliore delle ipotesi dei cimiteri.
E disco di Pride & Glory si apriva con un riff di banjo su un brano metal, in un momento in cui Steve Vai era ancora lì a suonare una chitarra verde fosforescente a forma di cuore e con tre manici, mentre il suo cantante David Lee Roth cavalcava in mezzo al pubblico un enorme microfono gonfiabile.
Beh insomma, capite anche voi, qualcuno un passo indietro doveva pur farlo. Era necessario.
Poi non lo so cosa è successo, Zakk ha creato un gruppo anacronistico chiamato Black Label Society che non mi è mai piaciuto, ha disegnato una chitarra a forma di bara, è diventato più muscoloso di Hulk Hogan, poi è finito all’ospedale, adesso è tornato, non sembra più Zakk Wylde, sembra Talu.
Che voi forse non lo conoscete, Talu, ma se lo conoscete, avete già capito cosa intendo, con tutto il bene che voglio a Talu.
E quindi niente, ieri sera ho visto questo video e poi mi sono chiesto, voglia scusarmi l’editore, mi sono chiesto Ma io, quanto cazzo sono vecchio?
Il Prima
Il dopo
Ru Catania