Numeri preoccupanti anche in Portogallo. A Bruxelles proposte strategie e soluzioni per far fronte al problema. Tamburino: “Fare progressi per ridurre la detenzione preventiva”
L’Italia, come per il debito pubblico, è il secondo peggior paese dell’Unione europea in termini di sovraffollamento negli istituti penitenziari. Davanti a noi soltanto la Grecia. Numeri che suscitano preoccupazione in molti Paesi dell’Unione e che hanno indotto solo una settimana fa il Consiglio d’Europa a pubblicare un report aggiornato sulla situazione delle carceri italiane e, ieri, uno sugli istituti di detenzione portoghesi. Quando in Europa si registrano in media circa 99 detenuti ogni 100 posti effettivamente disponibili, in Italia ci sono circa 147 detenuti ogni 100 posti a disposizione. Secondo i termini di legge, insomma, in Italia circa un recluso su tre non avrebbe a disposizione un posto in cella. Soltanto la Grecia fa registrare numeri peggiori con i suoi 152 detenuti ogni 100 posti disponibili negli istituti penitenziari.
Sotto la lente d’ingrandimento del Consiglio d’Europa è finito ultimamente anche il Portogallo. Qui, sebbene il fenomeno si presenti in proporzioni sensibilmente più contenute (105 detenuti ogni 100 posti), esso è in progressiva crescita abbinato ad una qualità di vita dei reclusi decisamente bassa e scarse condizioni delle strutture. Il problema, d’altra parte, non è affatto sconosciuto a Bruxelles nè tantomeno a Roma. La vera questione è, più che altro, far fronte a questa persistente emergenza con una disponibilità di risorse economiche che al momento è sempre più limitata. In Paesi come l’Italia, dove il tasso di criminalità è al di sotto della media europea (110 reclusi ogni 10mila abitanti quando in Europa la media è di 135-140 detenuti ogni 10mila abitanti) il problema riguarda principalmente la scarsità delle strutture penitenziarie.
Secondo Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria italiana, “nel medio termine occorre completare il ciclo di costruzione di nuovi istituti penitenziari. Il piano sta andando avanti a grande velocità, avremo sicuramente migliaia di posti in più ma ci vorranno 2-3 anni”. Per Tamburino, intervenuto a Bruxelles alla diciottesima Conferenza dei direttori delle amministrazioni penitenziarie europee, il carcere “non può essere l’unica soluzione alla lotta alla criminalità”. Bisognerebbe – dice il capo del dipartimento penitenziario italiano – “investire di più in programmi che non prevedano l’incarcerazione e in misure per il reinserimento sociale del detenuto”. Un’altra delle cause del sovraffollamento delle carceri italiane è, infatti, “l’eccessivo numero di persone in detenzione preventiva”.
Ma quello del sovraffollamento è un problema che tocca anche altri 19 Stati membri in forme e gradi diversi. Al momento, è stato rilavato, a strada dello scambio di informazioni per acquisire “best practices” resta l’unica percorribile a livello comunitario, anche se la crescente dimensione del fenomeno necessiterebbe di un maggiore coordinamento tra Paesi, magari su una piattaforma europea comune.
Marco Frisone