Stefano Lucchini e Raffaello Matarazzo raccontano la grande campagna 2.0 che ha cambiato per sempre la corsa alla Casa Bianca
Per la travolgente (doppia) vittoria elettorale di Barack Obama ha insegnato molte cose, tra queste certamente che un abile (e legale) uso dei più moderni (ed anche economici) sistemi di comunicazione è stato forse determinante. E’ una delle evidenze che emergono dall’attento studio “La lezione di Obama – come vincere le elezioni nell’era della politica 2.0” (Baldini&Castoldi, 128 pagine, 14,90 euro) condotto da Stefano Lucchini e Raffaello Matarazzo per capire, e spiegare, le ragioni di una corsa verso la vittoria alla quale, prima, in molti stentavano a credere.
Nella campagna del 2008 si decise di “puntare sull’empatia”, con slogan coinvolgenti e ricchi di pathos come “hope”e “change”, e mostrando una particolare vicinanza e condivisione con i problemi delle gente comune. Andò bene, ma quando lo sfidante nel 2012 fu Mitt Romney, l’effetto novità non c’era più, qualche problema restava irrisolto e dunque la sfida divenne più complessa. I sondaggi non riuscivano a dare un vaticinio chiaro, e ci volle la tragedia dell’uragano Sandy, a far vincere “negli ultimissimi giorni”, ancora una volta, il primo presidente nero della storia degli Usa.
Lucchini, direttore delle relazioni internazionali e comunicazione di Eni, visiting fellow all’università di Oxford e docente alla Cattolica di Milano, e Matarazzo, analista di politica internazionale all’Eni e docente all’Università St John’s di New York, con un puntuale lavoro (svolto in gran parte in incontri “a prime colazioni molto presto la mattina”, come racconta Lucchini), elencano i mutamenti sociali e i rivolgimenti epocali che hanno portato alle prime “elezioni 2.0” della Storia, che hanno visto protagonisti i giovani (in particolare nel 2008) e le donne.
Ma c’è, evidente, nuovo e dirompente il ruolo di internet, che nel 2012 era diventato una vera e raffinata “arma” per creare consenso, individuando uno per uno e profilando tutti i possibili sostenitori. “La campagna 2012 verrà ricordata come quella dei dati personali”, scrivono gli autori. La raccolta di un gigantesco database (grazie a Facebook) su potenziali attivisti e simpatizzanti è stato un patrimonio determinante. La fatica e la creatività di un trentenne con l’aria furba, Jeremy Bird, che portarono i primi risultati nel 2008, permisero di avere nel 2012 (grazie a una costante coltivazione) un patrimonio a cui attingere.
I social media non risolvono ogni problema, non “regalano” le vittorie, sostengono gli autori. Ma se ora anche il Tea party si è diffuso nell’America profonda è anche grazie allo studio di queste tecniche di comunicazione che Obama ha usato per primo. E che in Europa ancora stentano.
Perla Ressese