colonna sonora: Daft Punk – Revolution 909
Il lavoro rende liberi.
Se per un momento dimentichiamo che questa frase campeggiava all’ingresso dei campi nazisti, come estremo tributo allo humour nero (in senso anche politico) e riflettiamo solo sul concetto che vuole esprimere, ci rendiamo conto che in ogni caso è una cazzata.
Il lavoro rende stanchi, stressati, alienati, malpagati e frustrati come il fratello figlio unico di Rino Gaetano. Lavoriamo perché siamo costretti a farlo da quando i nostri avi hanno deciso che erano più cool degli altri animali e, non soddisfatti di ciò che la terra donava loro gratuitamente previo sudore della fronte ed eventuale versamento di sangue, hanno costruito una società basata sul consumismo.
Forse la storia è un po’ più complessa, ci sono stati momenti in cui si lavorava per sostentare la propria comunità: qualcuno cacciava, qualcuno coltivava, qualcuno lavava i panni, qualcuno costruiva capanne e qualcuno progettava microchip; ognuno dava il proprio contributo per il benessere di tutti. Il problema è stato l’introduzione del denaro.
Dare una parte del raccolto in cambio di monete. Queste monete non sono commestibili, ma possono far ottenere uno stinco di maiale o una casacca nuova. Fino ad un certo punto si è seguita una logica, ma poi si è degenerato.
Dalle capanne si è passati agli appartamenti e dalle casacche ai blue jeans. Poi sono apparse le ville ed i jeans sono stati griffati. Il denaro ha smesso di essere un mezzo e si è trasformato nel fine. Se decontestualizziamo la situazione, ci rendiamo conto che un uomo con migliaia di monete in confronto ad uno con decine di pomodori, dovrebbe morire di fame. E invece quell’uomo compra i pomodori e magari apre un’azienda che vende quei pomodori ad un prezzo maggiore così da poter avere più monete e dunque più pomodori.
Sembra semplice ma non lo è. Perché poi serve qualcuno che venda i pomodori che nel frattempo sono diventati troppi da gestire. Quindi con le monete guadagnate si pagano in monete anche le persone che vendono i pomodori affinché anch’esse possano permettersi i pomodori. La logica perversa è che quello che produce i pomodori, cioè quello che si alza alle cinque di mattina a zappare sotto al sole, è quello che ottiene meno monete di tutti, anche se senza i suoi pomodori tutto il resto non esisterebbe. Eppure lui ha la casacca e sta in una capanna, chi vende i pomodori ha i blue jeans e abita in un appartamento e chi gestisce tutto ha i jeans griffati ed una villa. Ma tutti mangiano pomodori.
Ci si potrebbe fermare qui, dove ancora si intravede un senso (almeno spero che voi lo troviate, io già me so’ perso nei campi di pomodori) e tutto sembra funzionare, invece quello della villa decide che ogni anno le sue monete devono raddoppiare, quindi inizia ad espandersi e richiede l’aiuto di qualcuno che gestisca nuovi coltivatori di pomodori e nuovi venditori. I pomodori aumentano, le monete aumentano, ma anche i lavoratori da pagare con le monete.
Finché ognuno può permettersi di comprare i pomodori, anche se in quantità diverse, non ci sono problemi. I problemi sorgono quando i coltivatori di pomodori sono poveracci pagati 2 euro al giorno e tenuti in condizioni disumane, i venditori sono neolaureati con ricatti, pardon, contratti a termine da 800 euro in città in cui l’affitto medio è di 900 ed i signori della villa nel frattempo sono entrati in borsa dove le monete neanche esistono più e grazie alla vendita delle azioni si sono comprati altre due ville, e chi gioca con le azioni può comprarsi un appartamento (o una villa se è bravo) e godersi le sue monete acquistando un sacco di pomodori e cambiando canale quando al telegiornale mostrano i poveracci che li coltivano.
Sembra un’assurdità, ma funziona così. Inoltre quello delle ville, che ormai è entrato in un loop malato, ha iniziato a pagare (molte più monete rispetto ai coltivatori) altre persone che sponsorizzino i suoi pomodori. Quindi se prima avevamo bisogno solo di un paio di pomodori per fare la caprese (con la mozzarella inquinata grazie alle discariche illegali delle fabbriche di pomodori), ora siamo convinti di aver bisogno di almeno dieci pomodori giganti e senza semi che costano di più anche se non sanno di niente.
Siamo partiti da un essere umano che per sfamarsi mangia un pomodoro e siamo arrivati a disboscare quotidianamente ettari di foreste, habitat naturale di altri esseri umani che non hanno voluto aderire al nostro modello e quindi possono pure mori’, per piantarne altre migliaia, giganti e senza semi, mentre chi li coltiva muore di fame, chi li vende campa a stento, chi gestisce la filiera ha la casa di proprietà e chi detiene l’azienda s’è comprato un’isola.
Questa è la storia della società odierna raccontata male ad un bambino distratto. La morale è che l’uomo ha perso di vista il pomodoro. Se domani il sistema economico crollasse e le monete smettessero di avere valore, i coltivatori di pomodori sarebbero i più ricchi del mondo.
Tornando all’inizio, a quando volevo parlare del lavoro ma poi non so cos’è successo, lavorare è una cosa importante, è ciò che in qualche modo da un senso alla nostra presenza in questo sistema e ci permette di vivere il resto del tempo, comunque sempre troppo poco, nella maniera che preferiamo. Ma non può esistere che si debba lavorare sotto ricatto, senza prospettive serene, mentre c’è chi in un giorno guadagna quanto venti famiglie guadagnano in un anno.
Non bisogna credere a chi dice che non ci sono i soldi.
Non bisogna fidarsi quando ci dicono che “è così”.
Non bisogna alimantare questo sistema marcio.
Significa riflettere prima di agire, chiedersi quello che c’è dietro le insegne luminose, ricordarsi che abbiamo una sola vita ed un solo pianeta, e sono la cosa più preziosa che esista. Anche più dei pomodori.
Buona giornata a chi si da la zappa sui piedi, perché significa che è attaccato alla terra.