Si dice spesso, a Bruxelles, che c’è bisogno di comunicare meglio l’Europa, di spiegarla. Oggi, a guardare cosa arriva da Bruxelles, viene da credere che l’Europa deve spiegare meglio quello che dice, i messaggi che manda. Lo studio pubblicato dalla direzione generale Occupazioni e affari sociali rischia di creare altri cortocircuito tra l’Ue e quanti al suo interno già hanno smesso di crederci. “Rapporto europeo sulle opportunità di lavoro e assunzioni 2014” è un documento approfondito (134 pagine di testo, più altrettante di grafici e tabelle nella sezione “allegati”), ma quello che emerge da tutto ciò è che “i lavoratori con poca competenza incontrano difficoltà sempre maggiori nel trovare un lavoro, hanno a che fare con una minore stabilità lavorativa e sono fuori competizione anche nei mestieri più semplici”. Se questa è la conclusione dello studio i conti davvero non tornano: alle persone qualificate, allora, perché tocca la stessa sorte di quelle meno preparate?
Prendiamo il caso italiano. Secondo il Rapporto annuale dell’Istat presentato a fine maggio, nel 2013 ai 3.113.000 disoccupati si aggiungono 3.205.000 forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro. Si arriva così a oltre 6 milioni di individui che l’Istat nel Rapporto annuale definisce “potenzialmente impiegabili” ma che in realtà, fuori metafora, sono 6,3 milioni di persone senza lavoro. Inoltre, stando sempre alle stime dell’istituto di statistica, negli ultimi cinque anni se ne sono andati quasi 100 mila giovani (94mila), ma l’emigrazione aumenta per tutti (nel 2013 a +36% rispetto all’anno precedente) e dal 1990 al 2013, secondo dati Aire, gli italiani in fuga dall’Italia sono stati 2.379.997, senza contare quelli non registrati. Si tratta di persone nella maggior parte dei casi con laurea, master, conoscenza delle lingue straniere e dimestichezza con le tecnologie. Forse gente poco preparata? Si potrebbe rispondere il contrario. A queste persone, sempre più spesso migranti forzate, la preparazione e le competenze acquisite hanno portato uguale precarietà e forse anche più difficoltà nel trovare lavoro. Come si risponde loro? Che “durante la crisi è aumentato il lavoro temporaneo e part-time”, recita il rapporto. Davvero un incoraggiamento sapere di aver investito tempo e fatica per ritrovarsi a fare ‘lavoretti’. Di più: la risposta al problema starebbe nella “necessità di un migliore sostegno per la transizione tra la scuola e il mondo del lavoro”. Quelli che hanno già lasciato il mondo dell’istruzione, e alcuni addirittura paese, di loro che ne sarà?
La strategia della DG Occupazione e affari sociali dimentica quanti dalla scuola sono usciti già, con massimo dei voti e titoli, e che forti della loro preparazione cercano un posto di lavoro senza trovarlo. Nella nota diffusa dalla Commissione il responsabile per l’Occupazione e gli Affari sociali, Laszlo Andor afferma semplicemente che “le prospettive occupazionali per quelli con un basso livello d’istruzione sono catastrofiche, a meno che non acquisiscano le giuste competenze richieste dai datori di lavoro”, e per questo “va rafforzato con urgenza il sostegno per la transizione al mondo del lavoro”. Sicuri che sia quello il problema? Potrebbe non essere quello se è vero – come sostiene lo studio della Commissione – che “solo cinque paesi – Austria, Belgio, Germania, Malta e Svezia – hanno recuperato i livelli di Pil e di occupazione pre-crisi”. Eppure si parla di scarse competenze, indubbiamente un fattore penalizzante. Quanto ai disoccupati, dentro e fuori i rispettivi paesi, poco male. Loro, con lauree, master, lingue, patenti europee per il computer, tirocini, stage e grande esperienza in fatto di colloqui prima o poi troveranno qualcosa. Buona fortuna. Il messaggio che arriva dalla Commissione uscente sembra essere questo. Potremmo sbagliarci, e in quel caso chiederemo scusa. Ma forse a Bruxelles dovrebbero iniziare a spiegare meglio, perché a volte davvero fatica a capire cosa succede nell’Ue.