Ha vinto l’Europa dei paradossi. Diventerà presidente della Commissione europea il candidato del Parlamento europeo che però non si è presentato alle elezioni europee e che è stato osteggiato dai britannici perché è “troppo europeista”. I paesi che vogliono un po’ di flessibilità nei conti la potranno avere solo se faranno le riforme pattuite, anche se proprio alcune delle regole europee impediscono di realizzare alcune delle riforme. E’ stato scelto un presidente della Commissione europea che guiderà per cinque anni i commissari secondo un programma che gli è stato scritto dal presidente del Consiglio europeo uscente prima ancora che lui fosse nominato.
Volendo si potrebbe andare avanti in questo elenco, aggiungendo che il presidente uscente del Parlamento europeo si è dimesso per negoziare un posto in Commissione e due giorni dopo si è ritrovato ad essere il “nuovo” candidato del Pse per la guida del Parlamento. Sono gli effetti di un turbine elettorale, che ha visto tutti i partiti tradizionali in difficoltà, con i popolari che hanno perso una sessantina di deputati, i socialisti che ne hanno guadagnato un pugno praticamente solo grazie al risultato del Pd in Italia, i liberali e i verdi in calo preoccupante e la sinistra invece in aumento. Come è successo per le forze più euroscettiche. La reazione è stata quella di arroccarsi, di scegliere un uomo che è stato per 18 anni premier del Lussemburgo e per nove presidente dell’Eurogruppo dell’austerità e farne il campione della “Nuova Europa”. Di confermare, per la prima volta nella storia, il presidente uscente del Parlamento europeo.
Un’Europa che non ha saputo rinnovarsi e che rischia di non dare risposte alle richieste dei cittadini. Giusto, naturalmente, ribadire il valore degli accordi presi e la necessità di rispettare le regole che ci sono, la ripresa è ancora fragile, per alcuni lontana, si è deciso un percorso e va seguito. Ma non si è saputo trovare un elemento nuovo, una spinta che faccia sperare, che dell’Europa faccia di nuovo un sogno o, per lo meno, qualcosa in cui ci si aspetta di trovare delle risposte. Non si è riusciti neanche, come chiedevano i socialisti, a negoziare un pacchetto complessivo di nomine, si è deciso di aspettare fino al 16 luglio, al dopo il voto del Parlamento su Juncker, per convocare un nuovo vertice e scegliere il prossimo presidente del Consiglio europeo, i nuovi commissari. Insomma, si naviga praticamente al buio, un pezzetto per volta, senza riuscire a dare un disegno generale.
Ora lo scontro si sposta sui commissari, l’Italia continua a dire che vuole qualcuno “che faccia il bene dell’Europa”, gli altri puntano direttamente alle materie che li interessano: la Germania pretende la conferma di Gunter Ottinger all’Energia, la Francia e la Spagna si scontrano sui commissari economici, la Gran Bretagna vuole il Commercio estero perché si sta negoziando un enorme accordo commerciale con gli Stati Uniti e vuole garantirsi tutele per il mercato finanziario.
Il problema, forse, è che manca un leader, e un’idea, e ognuno ormai quasi corre da solo. Angela Merkel, la potente cancelliera tedesca, non è più quella di una volta, i socialdemocratici con i quali è alleata vanno in giro per l’Europa sostenendo filosofie economiche all’opposto della sua. In Italia e Francia ci sono due governi, che, più o meno, appaiono stabili e che (anche se per motivi diversi, uno è vincente e l’altro perdente) cercano di essere più assertivi. Anche la scelta di Juncker, che in realtà perse il posto all’Eurogruppo proprio perché contrastava le politiche di austerità assolute volute da Berlino, Merkel l’ha fatta malvolentieri, solo perché pressata dagli alleati e dalla sua stampa nazionale. Renzi è il vero “partner-antagonista” della tedesca, è il leader socialista più forte, ma anche il meno esperto e guida un paese che sta tentando, faticosamente, di diventare “normale” ma non lo è ancora. Francois Hollande è lì che lavora per salvarsi la pelle e Cameron non vede oltre la Manica. Non ci si salverà se non si troverà una nuova idea, non ci si salverà con Juncker e Martin Schulz.
(Da Il SecoloXIX di oggi)