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Home » Economia » La Germania può far saltare l’accordo commerciale Ue-Canada, dubbi su Ttip

La Germania può far saltare l’accordo commerciale Ue-Canada, dubbi su Ttip

Secondo un quotidiano di Berlino il governo tedesco starebbe ripensando alle condizioni per la firma dell’accordo con il Canada. Il timore è che le clausole di garanzia per gli investitori consentano alle multinazionali straniere di scavalcare gli Stati. Le clausole che rischiano di bloccare l’accordo sono le stesse contenute nel trattato di libero scambio tra Usa e Ue

Valeria Strambi di Valeria Strambi
28 Luglio 2014
in Economia

L’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada, conosciuto come Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), e considerato dagli stessi capi di Stato come un banco di prova decisivo per la riuscita dell’altro accordo commerciale, ben più noto, tra l’Ue e gli Stati Uniti, potrebbe essere destinato ad arenarsi.

A parlare di uno stallo nelle trattative è il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung che, citando fonti diplomatiche di Bruxelles, ha rivelato che Berlino si starebbe opponendo a una delle clausole rivendicata dai canadesi e prevista, tra l’altro, anche nelle negoziazioni per il Ttip, il partenariato transatlantico su commercio e investimenti con gli Usa.

Il tema della discordia è l’Isds (Investor-State Dispute Settlement), ovvero il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori stranieri e Stato. In pratica, se questa manovra fosse applicata, una multinazionale o una qualsiasi società che investe in un Paese avrebbe la facoltà di sfidare il governo nazionale di quel Paese attraverso il ricorso a procedure di arbitrato internazionale, scavalcando di fatto l’ordinario sistema giudiziario. In altre parole potrebbe crearsi una sorta di meccanismo di giurisdizione parallela che spoglierebbe lo Stato del diritto di avere l’ultima parola su materie molto delicate come la salute dei cittadini o l’ambiente. Con questa clausola verrebbe anche concesso agli investitori privati di poter chiedere risarcimenti allo Stato ospitante se l’aspettativa di profitti futuri in qualche modo risultasse diminuita a causa di decisioni prese dalle Corti nazionali. Le aziende, da parte loro, sostengono invece che i meccanismi Isds sono necessari per convincere gli investitori che i loro soldi sono al sicuro in Paesi stranieri.

Una disputa non da poco che, secondo il Sueddeutsche Zeitung, metterebbe la Germania nella posizione di rifiutare la firma dell’accordo, almeno su questo punto. E se tutti e 28 gli Stati membri dell’Ue non si trovano sulla stessa linea e non firmano tutti, l’accordo non si fa. Un alto funzionario della Commissione europea, citato dal giornale tedesco, si sarebbe spinto oltre rivelando che “essendo il trattato di libero scambio con il Canada un test per l’accordo con gli Stati Uniti, se l’intesa Ue-Canada dovesse essere respinta, anche quella con gli Usa sarebbe destinata a morire”.

A ottobre scorso  il primo ministro canadese Stephen Harper e il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso hanno firmato un accordo in linea di principio, lasciando ai funzionari il compito di definire i dettagli finali. Stando alle ultime fonti, però, questi colloqui di secondo livello avrebbero fatto emergere alcuni dissensi. Shannon Gutoskie, portavoce del ministro canadese del commercio internazionale Edward Fast, non ha parlato in maniera esplicita di un rifiuto dell’accordo da parte della Germania, anzi, ha dichiarato che Canada e Unione europea hanno fatto “progressi eccellenti” per completare il testo.

La resa dei conti dovrebbe arrivare dopo il 25 settembre, data in cui si svolgerà il vertice bilaterale tra Canada e Ue a Ottawa. Proprio in quell’occasione, secondo quanto dichiarato dal commissario europeo al Commercio Karel De Gucht, si dovrebbe arrivare a una sigla dell’accordo. Ma è a quel punto che la Germania potrebbe far sentire la sua voce e rimettere tutto in gioco. Il trattato, per entrare in vigore, deve essere ratificato e se anche uno solo degli Stati membri non dovesse essere d’accordo su uno o più punti, sarebbe tutto da rifare.

La Germania intanto prende tempo: “Prima vogliamo che ci sia la firma preliminare dell’accordo – ha spiegato un diplomatico europeo di Bruxelles – poi il governo federale esaminerà accuratamente la proposta che è sul tavolo e valuterà”. L’ok deve arrivare dal Consiglio e poi dal Parlamento europeo, un iter che si prospetta tutt’altro che semplice e lineare, soprattutto dopo i dubbi sollevati negli ultimi tempi.

Anche la Commissione ha detto la sua, manifestando una certa perplessità sulla posizione della Germania: “Quando è stato dato a De Gucht il mandato negoziale, all’interno del mandato c’era anche la clausola Isds e tutti gli Stati erano d’accordo – ha osservato Isaac Valero Ladron, portavoce di De Gucht – il commissario ha regolarmente riferito al Parlamento europeo sulle negoziazioni. Non capisco perché questo problema compaia proprio adesso”.

Certo è che negli ultimi mesi le polemiche intorno al Ceta e al Ttip si sono fatte sentire sempre di più e il tema è salito anche all’attenzione pubblica. Il 15 luglio un gruppo di 47 cittadini europei (sotto l’egida della European Citizens Initiative), supportati da oltre 148 organizzazioni provenienti da 18 Stati membri dell’Ue, ha presentato alla Commissione europea un’iniziativa per fermare i trattati. Tra chi invita la Commissione a raccomandare al Consiglio dei ministri dell’Ue di abrogare i negoziati di Ceta e Ttip molte organizzazioni tedesche, ma anche francesi, inglesi e spagnole. In Italia il Movimento 5 Stelle a maggio aveva presentato una mozione al Senato proprio perché le previsioni Isds venissero eliminate dagli accordi di libero scambio.

Curiosi anche i risultati preliminari emersi dalla consultazione pubblica che la Commissione europea ha lanciato lo scorso marzo sulla clausola Isds all’interno del Ttip. La consultazione, chiusa il 13 luglio, chiedeva a cittadini e parti interessate di esprimersi sulla questione. Su un totale di 149.399 risposte, i più partecipativi sono stati i cittadini del Regno Unito (34,81%), seguiti a ruota da Austria (22,59%) e Germania (21,76%). Solo questi Stati, insieme a Francia, Belgio, Olanda e Spagna, hanno contribuito al 97% delle risposte. Dall’Italia hanno detto la loro solo 222 persone, che contano per lo 0,15% del totale.

Tags: accordo commercialeCanadaCetagermaniaTtipUe

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