“L’Europa può funzionare solo se torna il primato della politica” sulla tecnocrazia, “sono le tecnostrutture che devono adeguarsi alle scelte politiche e non il contrario”. In base a questo ragionamento, il sottosegretario alle Politiche europee Sandro Gozi valuta “positivamente la Commissione Junker”, perché “è molto politica” e può garantire all’Europa “il cambiamento che chiedono i cittadini”. Almeno stando alle premesse, perché poi, aggiunge l’esponente del governo, “giudicheremo la Commissione strada facendo”.
Gozi ha parlato ieri nella sede della Rappresentanza della Commissione Ue in Italia, intervenendo alla presentazione del libro “L’euro è di tutti” di Roberto Sommella, un saggio sulla governance economico-monetaria. Proprio questo tema, secondo il sottosegretario, deve essere “oggetto di discussione” per i 28. Anche se, lamenta Gozi, “è bastato dire, a inizio legislatura, che bisogna avviare una riflessione” per “scatenare resistenze da parte di molti funzionari europei, inclusi alcuni italiani che abbiamo faticato a convincere”.
Non solo l’Europa, dunque, ma anche l’euro ha bisogno della politica. Ne è convinto il sottosegretario, il quale bolla come “ridicolo” il fatto che “manchi una rappresentanza unitaria per l’euro al Fondo monetario internazionale”. Così come “è ridicolo che non ci sia una politica monetaria internazionale unitaria per la moneta unica”. Diventa poi preoccupante se si pensa che “a Bruxelles sembra non se ne avverta neppure il bisogno”.
Il sottosegretario non si lascia scappare l’occasione per criticare i fautori del rigore. “L’applicazione meccanica delle regole, senza tenere conto dei cambiamenti intervenuti dopo la loro scrittura, è stupida”, dice parafrasando il suo mentore Romano Prodi. L’allora presidente della Commissione, nel 2002, definì il patto di stabilità “stupido”. “Non vorrei che a Bruxelles diventasse stabile la stupidità”, aggiunge ironicamente Gozi, il quale chiude con il classico colpo al cerchio seguito da quello alla botte. “Vogliamo che vengano sfruttati tutti i margini di flessibilità già contenuti nelle regole – torna a ripetere ancora una volta – non vogliamo cambiare le regole, per il momento”. Per il momento, appunto.