AGGIORNAMENTO
Marco Zatterin sul sito de “La Stampa scrive che:
“E’ partita, dunque è anche arrivata”, dice di buon’ora una fonte europea. Da questa mattina sul tavolo del governo italiano ci sono i rilievi tecnici che la Commissione Ue ha sollevato sulla Legge di Stabilità varata dal governo Renzi il 15 ottobre. In sostanza, hanno circoscritto tre gruppi di questioni da modificare o approfondire: il mancato rispetto dell’obbligo di ridurre di mezzo punto il deficit strutturale (al netto di ciclo e una tantum); la solidità delle coperture e delle entrate; gli effetti e il calendario delle riforme. «Non una è minaccia, ma l’avvio di una collaborazione», si assicura a Bruxelles. Vero a metà. Perché se il dialogo non avrà uno sbocco positivo, il 29 l’esecutivo potrebbe calare il suo asso di picche e chiedere la riscrittura degli impianti non in linea con le regole a dodici stelle.
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Potrebbe essere un buon segno. Fino a ieri notte nessuna lettera per Roma era partita da Bruxelles. Alla mezzanotte scadeva il termine per inviare nelle capitali una richiesta urgente di chiarimenti in caso di “gravi” carenze nelle leggi di bilancio presentate alla Commissione europea. Dunque il primo esame della legge di stabilità potrebbe essere stato superato senza inasprimenti nel confronto in corso. Se la lettera ieri non è partita è però solo il superamento di una prima tappa, quella che poteva “segare le gambe” dei corridori italiani e non solo, perché sotto attento esame ci sono anche i documenti di Francia e sembra anche almeno di Malta e Slovenia. Ora c’è tempo fino al 29 ottobre, data limite entro la quale la Commissione può decidere di bocciare una manovra di un paese dell’euro. Ancora non è fatta, dunque, ma la salita va diventando più dolce per un un testo che già non è più lo stesso che fu inviato il 15 ottobre dopo il Consiglio dei ministri. C’è però un’altra scadenza, al 30 novembre, data entro la quale la Commissione deve esprimere un giudizio su tutte le leggi di stabilità che non sono state respinte al mittente, e lì ci potrebbero essere consigli e auspici, anche forti, ma non più prescrizioni.
A dispetto degli allarmi lanciati dalla stampa britannica, fino a ieri la Commissione europea non ha avuto bisogno di compiere un atto pubblico un po’ umiliante inviando a Francia e Italia una lettera di richiesta di chiarimenti sulla legge di stabilità, né ha deciso se farlo in futuro. Ieri è stato formalmente smentito che da Bruxelles sarebbero già partite ben cinque missive per altrettanti Paesi della zona Ue le cui manovre sarebbero a rischio bocciatura. Come sosteneva martedì il sottosegretario alle Politiche europee Sandro Gozi, anche il portavoce della Commissione per gli Affari economici Simon O’Connor spiegava che “le consultazioni sono in corso”, e verranno condotte “con i mezzi che riterremo opportuni: via mail, con telefonate o lettere formali”. Ovvio, se ci si consulta, come è la prassi, in qualche modo si deve essere in contatto, ma la la lettera di formale messa in mora sulla finanziaria è una cosa diversa. Secondo il portavoce dunque non bisogna tanto focalizzarsi sulle modalità delle comunicazioni quanto piuttosto sul fatto che “le consultazioni a questo stadio non pregiudicano in nessun modo il risultato della nostra valutazione”. Né in un senso né nell’altro: da un lato i contatti in corso non significano che il giudizio finale della Commissione sarà “necessariamente negativo”, ma dall’altro anche la mancanza di una lettera formale non significa automaticamente che non possa arrivare una bocciatura.
Va poi considerato il momento particolare: l’attuale Commissione europea lascerà il passo alla nuova tra nove giorni e dunque Josè Manuel Barroso e i suoi vorrebbero non tanto “salvare” Roma o Parigi, ma evitare di decidere per chi verrà dopo, lasciandogli magari un campo di battaglia nel quale i pesi massimi dell’euro sarebbero in aperto conflitto tra loro, Italia e Francia da un lato (ma non sulle stesse posizioni) e Germania dall’altro. In questo contesto gioca un ruolo decisivo anche il presidente del Consiglio europeo uscente, Herman van Rompuy, che, da abile negoziatore, a quanto si sta sta cercando un accomodamento. Quello su cui punta l’Italia, è che “la situazione economica già difficile si è ulteriormente degradata rispetto ai dati di aprile a cui fa riferimento la Commissione. Quindi anche gli obiettivi vanno rivisti”, ha spiegato recentemente Gozi replicando all’indiscrezione che vorrebbe un Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione, pronto a chiedere a Roma un aggiustamento del deficit non dello 0,1 per cento così come previsto dalla manovra, ma dello 0,5, il che costerebbe circa 8 miliardi. Un segnale positivo per l’Italia potrebbero essere le insistenti indiscrezioni che arrivano dalla Germania, che ha fatto un patto con la Francia per 50 miliardi di investimenti in cambio di 50 miliardi di risparmi a Parigi, e che dicono che a Berlino si spinge per una promozione della legge di stabilità d’oltralpe. Se passa quella, che sfonda per altri due anni il limite del rapporto del 3 per cento tra deficit e Pil, non può non passare quella italiana, che il 3 per cento lo rispetta e solo rallenta l’avvicinamento al pareggio.
Quello che potrebbe preoccupare di più Bruxelles sono le coperture non sono “certe” della manovra, perché non possono esserlo i proventi della lotta all’evasione fiscale, mentre le spese quelle sì, sono ben note, anche se si prevedono tagli sostanziosi. Quel che conta di più però per l’esecutivo comunitario e per gli altri Paesi Membri non sono tanto impregni presi su gambe d’argilla come è stato negli anni passati, quanto che il governo si impegni a creare le condizioni perché quel che si dice di fare lo si possa fare davvero. In breve: che si facciano le riforme strutturali del lavoro, del fisco, della giustizia civile. In Italia in realtà dove metti le mani va bene, c’è da fare un po’ in ogni settore. Dunque quel che ci si aspetta è: il rispetto dei parametri fondamentali, e questo il governo Renzi lo fa; l’avvio di un percorso serio di risanamento dei conti, e questo lo si fa senza in realtà soddisfare del tutto le richieste; che si varino le riforme strutturali.
La sensazione è che la parola ora passi ai governi. Oggi e domani ci sarà il Consiglio europeo a Bruxelles e lì saranno prese le decisioni, che saranno molto politiche e poco contabili.