A Bruxelles quello che si fa meglio “insieme”, a livello nazionale quello che si fa meglio vicino ai cittadini. Sandro Gozi è convito che da qui passi l’Unione europea del futuro, quella che deve avere una Commissione che sia “politica”, e che non sia strumento in mano ai paesi più influenti.
Il sottosegretario alle Politiche europee che il prossimo 22 novembre parteciperà al primo panel della Tavola rotonda “How can we govern Europe”, organizzata da Eunews e dal suo thinktank Oneuro a Firenze anticipa qualche passaggio del suo ragionamento su “European governance and democracy”.
“Innanzitutto si deve tornare a un ruolo politico della Commissione europea. E’ il passaggio chiave – sostiene Gozi – per rivedere il modo in cui l’unione europea funziona Questo vuol dire concentrarsi di più sulle grandi questioni e lasciare molto di più agli Stati, alle Regioni, in base al principio di sussidiarietà, portando al livello più possibile vicino ai cittadini le decisioni di dettaglio”.
Secondo il sottosegretario, che della Commissione è un funzionario, dopo aver vinto e rinunciato a un posto nella diplomazia italiana, l’esecutivo comunitario “non può semplicemente svolgere un ruolo di segretariato generale nei confronti dei capi di Stato e di governo, che vuol dire alla fine essere sotto l’influenza di alcuni attori chiave più influenti di altri. Deve tornare ad avere un ruolo di grande impulso politico per il raggiungimento di quelle poche priorità attorno alle quali dobbiamo far lavorare meglio l’Unione europea”. E queste sono , spiega “diritti fondamentali, Mercato unico, Sevizi digitali, una nuova politica economica che parta dagli investimenti”. Naturalmente poi ci vuole “un ruolo maggiore dell’Ue nel Mondo, non su tutto perché è irrealistico – ammette – ma nei temi sui quali abbiamo comuni valori e interessi condivisi”.
Questo per la Commissione. Poi c’è il Parlamento. “Occorre lavorare maggiormente sulla dimensione parlamentare – sostiene Gozi – e questo vuol dire i temi attorno all’euro, alla governance economica, costruire molto di più un controllo e una partecipazione democratica del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali e cominciare attorno all’euro per lavorare verso una più approfondita unione e integrazione politica”. Insiste il sottosegretario sul lavorare “ a levare” per rafforzare la struttura: questo lavoro “vuol dire fare meno altre cose, l’importante è che l’approfondimento e l’integrazione politica si facciano in base a due pilastri: il principio democratico, che vuol dire più ruolo dei Parlamenti e a un principio di trasparenza che vuol dire rendere molto più chiaro come vengono prese le decisioni sui punti chiave”.
Terzo pezzo del ragionamento di Gozi, che conosce bene da dentro la struttura anche perché è stato nel gabinetto di Romano Prodi presidente della Commissione, è “riaffermare il primato della politica, abbandonato in questi anni, e dunque far tornare il Consiglio europeo a quel ruolo che gli è proprio di orientamento e direzione politica, rivedendone il funzionamento, senza costringere i capi di Stato e di governo a occuparsi di dettagli, di parametri tecnocratici che non dovrebbero arrivare al loro livello”.
Ora, a breve, se le cose andranno per il meglio, il presidente ella Commissione europea Jean-Claude Juncker presenterà un piano di investimenti da 300 miliardi. Non sono solo “soldi”, ma un pezzo del percorso verso la “nuova” Europa, spiega Gozi. “Ci sono tre grandi aree in cui occorre concentrare il piano di investimenti di Juncker. Il primo – spiega – è il Mercato unico digitale, l’innovazione digitale e la ricerca, le politiche della conoscenza; il secondo è il Mercato unico dell’energia il terzo sono le infrastrutture materiali, che sono soprattutto le interconnessioni transfrontaliere in comunicazioni e trasporti”. Questo sforzo non è solo “infrastrutturale”, non deve servire a poche imprese, deve avere un impatto diretto e rapido per tutti i cittadini. “La questione importante – spiega – è che tutto questo sia legato strettamente alle necessità di favorire la crescita attraverso la creazione di nuove imprese e di nuovi posti di lavoro”. Ma questo è solo un pezzo della questione, “la cosa importante, su cui noi abbiamo insistito molto sia proponendolo a Juncker, che lo ha fatto proprio, è che questo piano non sia solo per far fare all’Ue quel che in maniera irresponsabile non ha fatto nell’ultimo decennio, cioè una politica degli investimenti, ma deve anche essere un valore aggiunto che porti gli stati nazionali a far ripartire gli investimenti”. Trecento miliardi dunque che cambino nel profondo l’Unione, “al lancio del piano Juncker si deve legare una maggiore disponibilità a fare investimenti a livello nazionale da parte dei Paesi che hanno disponibilità di bilancio, e, secondo, a un’applicazione più flessibile, più favorevole agli investimenti, per quei Paesi che invece hanno più difficoltà di bilancio, ma che potrebbero beneficiare da temi come lo scomputo del finanziamento nazionale e regionale per i Fondi strutturali, l’identificazione di alcuni investimenti che potrebbero non essere considerati come spesa corrente”.
Una forte spinta pubblica europea che coinvolga nel suo sforzo gli stati nazionali secondo
Gozi permetterà di “mobilitare non solo 300 miliardi in tre anni, ma arrivare a oltre 1.000 miliardi tra investimenti europei e nazionali, che è quella massa critica di cui l’Europa ha bisogno per dare quell’impulso alla crescita e alla domanda interna senza la quale ci sarà una lunga transizione di grande difficoltà e anche in parte di recessione”. E insiste, il sottosegretario, nella dimensione vicina ai cittadini quando spiega che “gli Enti Locali vanno assolutamente più coinvolti, soprattutto attorno a un’applicazione più intelligente delle regole comuni e ad un inserimento all’interno delle politiche di coesione e di sviluppo regionale”.
L’analisi sulle istituzione europee si conclude con le presidenze semestrali, in buona parte svuotate dalla presidenza del Consiglio permanente ma pure “a livello ministeriale il Semestre il senso ce l’ha” Secondo Gozi “soprattutto con la logica del Trio se si vuole si può fare ancora la differenza e penso che l’Italia abbia dimostrato, nel semestre che tutti ritenevano il più difficile, quello in cui era meno possibile fare la differenza, come in sei mesi si possa veramente dare un impulso politico forte, diverso, all’Unione europea. Senza il semestre italiano – rivendica Gozi – non ci sarebbero stati neppure alcuni degli impegni che ora caratterizzano l’agenda politica dell’Unione europea”.