Con i deprezzamenti dei mesi passati, “l’euro adesso è più in linea con i fondamentali” dell’eurozona. Ma la moneta unica “non è più debole”. Lo sostiene Pier Carlo Padoan, nel corso di una conferenza stampa per la presentazione del Rapporto economico sull’Italia realizzato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), di cui è vice segretario generale. Il ministro dell’Economia ritiene che la politica monetaria della Bce sia “diventata più efficace e promette di essere più efficace nel tempo”. Decisioni come l’avvio del quantitative easing sui titoli di stato dell’area euro, per il titolare di Via XX Settembre, rendono “la politica monetaria ancora più credibile” e capace di aver un positivo “impatto sui rischi di deflazione”. Un pericolo “gravissimo”, con cui “l’Italia ha flirtato”.
Una minaccia che, al momento, per il Nostro Paese sembra però sventata. O meglio, secondo il rapporto Ocse, può esserlo se l’Italia porterà a termine “l’ambizioso piano di riforme” avviato dal governo. Stando allo studio presentato questa mattina, infatti, il beneficio si tradurrebbe in un +6% del Pil nei prossimi 10 anni. “Un beneficio gigantesco”, per Padoan, il quale accoglie le stime Ocse come la conferma che “la direzione” intrapresa dall’esecutivo “è quella giusta”. Una valutazione analoga a quella che esprime il ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi, tanto in conferenza stampa quanto su Twitter.
OCSE conferma le riforme fanno bene all'Italia:+6% di PIL in 10 anni. Ecco a cosa servono le riforme: a far crescere il Paese #italiariparte
— Maria Elena Boschi (@meb) February 19, 2015
Il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, presente alla conferenza, ha elogiato l’operato dell’esecutivo, pur sottolineando che “molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare”. L’esortazione di Gurria è a proseguire nel percorso. Infatti, è convinto che le riforme strutturali, se portate a termine creeranno “340 mila nuovi posti di lavoro in 5 anni”. Per raggiungere questo risultato, secondo il segretario generale, è “importante che il mercato del lavoro sia al centro delle riforme”. Il Jobs act, prosegue, “se davvero attuato può essere motore del cambiamento”.
Su questo punto è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a fornire rassicurazioni. Garantisce che “entro giugno”, data fissata dalla legge delega per completare la riforma, “ci sarà la completa attuazione”. Intanto, nel Consiglio dei ministri convocato per domani, il ministro annuncia che sarà approvato in via definitiva il decreto attuativo sul contratto unico a tutele crescenti. “dal primo marzo le aziende potranno assumente con le nuove regole”, assicura il ministro.
Anche Padoan giudica importante il Jobs act. È convinto che questa, insieme con le altre riforme, produrrà effetti che “si vedranno in modo crescente, in termini di crescita, occupazione e qualità finanza pubblica”, con un conseguente “calo del deficit e del debito pubblico” nei prossimi anni. Elementi che serviranno a presentarsi con le carte in ordine a Bruxelles, anche se il ministro sottolinea che “la politica della finanza pubblica è volta a migliorare i conti, non perché ce lo dicono le istituzioni europee, ma perché è un beneficio per il Paese”.
I dati del rapporto Ocse indicano che l’indebitamento netto, dal 3% del Pil dello scorso anno, scenderà al 2,7% nel 2015 e all’1,8% nel 2016. L’avanzo primario rimarrà invece stabile quest’anno, al 4,4% del Pil, mentre salirà al 4,9% nel 2016. Notizie negative per il debito pubblico, che dal 130,6% del Pil 2014 passerà al 132,8% nel 2015 e nel 2016 si attesterà al 133,5%. L’organizzazione sottolinea che l’Italia potrà “tagliare le tasse o aumentare la spesa primaria” solo a condizione che i tassi di interesse sui titoli di Stato “rimangano bassi”. Per questo, prosegue il rapporto, “mantenere una solida posizione di finanza pubblica e la fiducia degli investitori obbligazionari è essenziale”.
Lo studio ha preso in considerazione anche il sistema bancario, che “nel suo insieme soddisfa i requisiti patrimoniali”. Tuttavia, segnala che, “a metà 2014, i crediti deteriorati (quelli difficilmente esigibili) rappresentavano il 17%” del totale, gravando “pesantemente sui bilanci di molte banche”. Per questo l’Ocse ipotizza che “l’istituzione di una ‘bad bank’ pubblica potrebbe essere presa in considerazione dall’Italia”, aggiungendo che “alcuni paesi dell’area euro” lo hanno già fatto “con successo”. Si tratterebbe di una formula attraverso la quale i crediti deteriorati verrebbero acquistati da un soggetto pubblico. Un meccanismo contro il quale insorgono le opposizioni, come Sel e il Movimento 5 stelle, ritenendolo un ennesimo regalo alle banche, dal momento che si tratterebbe, in fin dei conti, di ripianare con soldi pubblici le perdite degli istituti di credito.
Padoan comunica che “il governo italiano, come negli altri Paesi, sta esaminando ipotesi di misure che facilitino l’eliminazione delle sofferenze” nel settore bancario. Per queste “misure che vanno sotto il norme generico di bad bank”, annuncia il ministro, “stiamo studiando soluzioni fortemente orientate al mercato, dove il settore pubblico sia limitato, e che rispettino i limiti imposti dall’Ue sulla concorrenza”. Perché il problema, in effetti, è anche quello di non cadere nella tagliola degli aiuti di Stato alle banche, vedendosi respingere da Bruxelles un eventuale intervento.