Roma – Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi si è dimesso stamattina, dopo una informativa all’Aula di Montecitorio. La decisione è legata allo scandalo che lo ha travolto in seguito all’inchiesta della procura di Firenze sulle Grandi opere, che ha fatto traballare la maggioranza e gettato delle ombre sull’esecutivo. Il passo indietro di Lupi toglie dall’imbarazzo il presidente del Consiglio Matteo Renzi, gli consegna un accresciuto potere sulla maggioranza e rafforza l’immagine dell’esecutivo, rinsaldandone la tenuta.
“Se il mio passo indietro può essere un modo per rafforzare l’azione del governo e rilanciare il progetto del mio partito, allora ha un senso”, ha infatti dichiarato lo stesso Lupi davanti all’Emiciclo semi deserto. Nonostante non fosse indagato per il sistema di pilotaggio degli appalti pubblici in cambio di assegnazioni di incarichi, ipotizzato dagli inquirenti, dalle intercettazioni sembrano emergere delle pressioni fatte dall’ex ministro, che nega, per l’assunzione del figlio Luca da parte dell’imprenditore Stefano Perotti per il tramite di Ercole Incalza, l’alto funzionario del ministero delle Infrastrutture e principale indagato nell’inchiesta.
Lupi si è dimesso “non per le responsabilità giudiziarie”, ma per “le responsabilità politiche”, ha spiegato in Aula. Responsabilità che, appunto, offuscavano l’immagine dell’esecutivo. Lupi ha negato che Renzi abbia esercitato pressioni per la decisione di abbandonare – “non mi ha mai chiesto di dimettermi”, ha dichiarato – ma le ricostruzioni attribuiscono il passo indietro all’incontro avvenuto ieri a Palazzo Chigi, verso l’ora di pranzo, tra il premier, Lupi e il ministro degli Interni e leader di Ncd Angelino Alfano. Motivo per il quale Renzi ha disertato il consueto vertice del Pse che anticipa le riunioni del Consiglio europeo, e Alfano quello analogo del Ppe.
Da quando era scoppiato il caso, quattro giorni fa, il premier aveva evitato di prendere posizione pubblica, ma non poteva tollerare che la vicenda si riverberasse sull’immagine di un esecutivo che sta facendo della lotta alla corruzione una sua bandiera, a partire dalla nomina di Raffaele Cantone a capo dell’Autorità nazionale anti corruzione (Anac) ai più recenti provvedimenti presentati in Parlamento per il contrasto di questo reato.
Renzi, dunque, voleva la testa di Lupi. Allo stesso tempo non desiderava mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo, legata alla fedeltà dell’Ncd. Gli ultimi giorni sono serviti a far capire ad Alfano e ai suoi che non c’era scelta alle dimissioni. Anche perché, se si fosse andati al voto sulle mozioni di sfiducia contro Lupi, presentate da Sel e M5s e calendarizzate per martedì prossimo, difficilmente il Pd avrebbe potuto sostenere il ministro, con la conseguente spaccatura della maggioranza e l’apertura di una crisi di governo.
La rinuncia di Lupi dunque, non solo salva l’immagine dell’esecutivo, ma garantisce la tenuta della maggioranza. Di più, consegna a Renzi un accresciuto potere nell’alleanza di governo, perché Ncd ne risulta indebolito politicamente. Tanto che per restituire al partito di Alfano un dicastero, non si parla del posto lasciato da Lupi, ma del ben più modesto ministero per gli Affari regionali, che sarebbe assegnato a Gaetano Quagliariello.
Sul nuovo ministro delle Infrastrutture le ipotesi che circolano in Transatlantico sono contraddittorie. Alcuni indicano che Renzi assumerà l’incarico ad interim fino alle prossime elezioni amministrative di fine maggio, o almeno fino all’inizio dell’Expo di Milano, il primo maggio. Secondo altri, è l’occasione per dare un nuovo saggio del cambiamento che Renzi sta perseguendo. In quest’ottica metterebbe a capo del dicastero una personalità indipendente e moralmente irreprensibile. Ancora una volta sarebbe Raffaele Cantone il nome su cui puntare, con un altro magistrato, Nicola Gratteri, che andrebbe all’Anac. Altre ipotesi parlano di uno spacchettamento del ministero: Infrastrutture da una parte e Trasporti dall’altra. Come andranno le cose è difficile ancora da dire. L’unico risultato certo, al momento, è che il premier si è ulteriormente rafforzato