L’Ue ha bisogno di un suo esercito. Parole, quelle del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che hanno riaperto un dibattito tante volte sollevato ma mai portato a una conclusione. La questione di un’integrazione militare accompagna l’Europa dagli inizi del suo processo di integrazione. L’idea di esercito europeo risale agli anni Cinquanta e al progetto fallito di una Comunità europea della difesa (Ced), teorizzata per la prima volta dal “piano Pleven” concepito da René Pleven, capo del governo francese dal 1950 al 1952. Egli pensa all’estensione in ambito militare della cooperazione già esistente in ambito economico tra gli Stati della Ceca, la comunità economica del carbone e dell’acciaio. Ma Pleven viene “tradito” dal suo stesso Paese. Il trattato di istituzione della Ced viene firmato il 27 maggio 1952 da Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania Ovest, Italia e Francia. Ma a Parigi il trattato intergovernativo non trova la ratifica del Parlamento (264 voti a favore, 319 contrari): il piano Pleven fallisce. Per la prima volta l’Europa – all’epoca nel formato a sei Stati – va vicinissima a un’integrazione della difesa all’interno di un progetto sovranazionale, con istituzioni comuni, forze armate comuni, un budget comune, e programmi comuni.
La guerra fredda mette i governi di fronte a sfide tanto complesse quanto delicate, e i governi – accantonata la Ced – tentarono di dar vita a un esercito europeo attraverso l’Unione dell’Europa Occidentale (Ueo), progetto di cooperazione militare che vede l’allargamento a un settimo Stato del processo di integrazione della difesa. A Parigi il 23 ottobre 1954 firmano il trattato di cooperazione gli stessi Paesi della (quasi) Comunità europea della difesa (Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) più il Regno Unito. Si tratta di una riattivazione – in senso più ampio – del vecchio trattato di Bruxelles del 1948, in cui Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito si erano impegnati alla mutua assistenza in caso di aggressione militare di potenze terze. L’Ueo però si pone il compito di sviluppare la cooperazione in senso lato, quindi anche in ambito culturale, economico e sociale. Da un punto di vista militare non si hanno progressi significativi, e l’attività dell’Ueo subisce una battuta d’arresto negli anni Settanta. Nel 1973 l’ingresso di Danimarca, Irlanda e dello stesso Regno Unito all’interno della Cee impongono ripensamenti di politiche e strategie. Inoltre l’Ocse e il Consiglio d’Europa – due organismi al fuori dell’orbita Cee – si appropriano di fatto delle competenze del’Ueo in ambito economico e sociale.
Un tentativo di rilancio della politica di difesa comune avviene con la Dichiarazione di Roma del 27 ottobre 1984, in cui si mette nero su bianco la necessità di definire e sviluppare una “identità di sicurezza europea” e di “armonizzare progressivamente” le politiche di difesa degli Stati membri. Ma nel 1986 il numero degli Stati membri aumenta (arrivano Spagna e Portogallo), e il ragionamento sulla difesa comune rallenta, poiché deve essere esteso ai nuovi arrivati. Alla fine del 1989 cade il muro di Berlino, e la riunificazione tedesca contribuisce a un nuovo rallantamento dei lavori di integrazione della difesa, sentita anche come minore necessità a seguito della dissoluzione dell’Urss. Di Politica di sicurezza comune si parla esplicitamente per la prima volta nel 1992 con il trattato di Maastricht, ma la Politica europea di sicurezza e difesa (Pesc) troverà un ruolo centrale solo con il trattato di Lisbona (firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore l’1 dicembre 2009).
La Pesc è una politica intergovernativa che riguarda le missioni e le operazioni dell’Ue nei Paesi terzi, ma si pone anche l’obiettivo di migliorare e coordinare le capacità di difesa degli Stati membri dell’Ue. Questi ultimi però non hanno mai voluto né saputo accrescere la cooperazione reciproca: politiche strutturate permanenti non sono mai state definite, e le unità militari dell’Ue (Battlegroups, 1.500 soldati organizzati in 14 battaglioni) sono state costituite ma mai utilizzate. La riunione dei capi di Stato e di governo dei Paesi Ue del dicembre 2013 ha stabilito la necessità di velocizzare l’integrazione europea della difesa, lavorando sulla sicurezza cibernetica, sicurezza marittima, e migliore dispiegamento delle forze di difesa. Si aggiunge anche la raccomandazione della Commissione ad un cooperazione dell’industria della difesa. Il processo sembra essersi rimesso in moto, per un’integrazione lunga oltre sessant’anni e ancora tutta da fare. Anche per questo, oggi, potrebbe esserci bisogno di un esercito europeo. Per chiudere un capitolo lungo sei decenni.