Roma – “L’opportunità offerta dai Fondi strutturali europei va usata in sinergia con il Piano Juncker”. Lo sostiene il sottosegretario con delega agli Affari europei Sandro Gozi. L’esponente dell’esecutivo pone l’accento sull’agenda digitale europea, e cita l’esempio degli investimenti per la banda ultra larga. “Dove non c’è interesse dei privati a investire”, come nei territori in cui la scarsa densità demografica non garantisce ritorni allettanti, “ma c’è comunque la necessità” di intervenire, spiega gozi, “dobbiamo usare i Fondi strutturali europei”.
Il sottosegretario si è pronunciato intervenendo alla presentazione del ‘Global outlook’ 2015, il rapporto annuale stilato dall’Istituto affari internazionali (Iai) sullo stato dell’economia globale, che ha l’obiettivo di “stimolare le istituzioni europee e nazionali”, indica il presidente dello Iai Ferdinando Nelli Feroci, anche con delle raccomandazioni sulle strategie per affrontare gli scenari futuri provando a guidarli.
Presente all’incontro anche Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti (Cdp), il quale critica duramente la Dg Competition (la direzione generale della Commissione Ue che si occupa di concorrenza) colpevole a suo avviso di minare alla base il Piano Juncker, che corre “il rischio di essere svuotato” se le garanzie offerte dal Feis – lo strumento finanziario del Piano – venissero considerate aiuti illeciti qualora non offerte a prezzi di mercato. Ma offrire le garanzie al prezzo di mercato “cancellerebbe l’addizionalità” degli investimenti del Piano rispetto a quelli che le imprese farebbero spontaneamente, ammonisce il numero uno della Cdp.
Molto critica, sul Piano Juncker, l’analisi fatta dallo Iai. Il professor Andrea Renda, principale curatore del rapporto, lo definisce “un piano puramente infrastrutturale, per giunta con fondi non ‘freschi’, e basato su ipotesi a dir poco ardite”. Per un vero rilancio dell’economia europea, dunque, “il piano Juncker non basta”. Secondo Renda è “l’agenda Europa 2020 l’unica strategia di crescita sostenibile e inclusiva” attualmente elaborata dall’Ue. Ma sembra essere stata “accantonata”, secondo il ricercatore, dopo la decisione di rinviarne al semestre di presidenza lettone la revisione, inizialmente prevista per marzo scorso. Impressione confermata da Gozi, il quale si dice “convinto che arriveremo a una decisione nel corso del semestre di presidenza lussemburghese”, cioè nella prima metà del 2016.
Il rapporto Iai propone diverse iniziative per rilanciare lo sviluppo in Europa, e uno dei settori su cui focalizza maggiormente l’attenzione è quello industriale. L’invito è quello di prendere spunto dalla “strategia tedesca per l’industria 4.0”, adattandola a una visione pan-europea, indica Renda. Si tratta di una politica volta a realizzare la “quarta rivoluzione industriale” di cui l’economista Jeremy Rifkin ha recentemente parlato alla Camera dei deputati, e su cui ha inviato un memorandum al presidente della Commissione Jean Claude Juncker.
Puntare “sull’internet delle cose”, secondo Renda, è la strada giusta. Per imboccarla è necessario valorizzare “settori come la robotica, le nanotecnologie, le tecnologie di comunicazione fissa e wireless, i sensori, l’intelligenza artificiale”. Tutti ambiti in cui “i paesi europei hanno una posizione di leadership” da mantenere e rafforzare. Comparti industriali consentirebbero all’Europa di riguadagnare competitività, a livello globale, su un terreno diverso dall’inseguimento alle economie emergenti in termini di costo del lavoro.