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Home » Editoriali » Comunicazione

Comunicazione

Francesco Cardarelli</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@Ceskoz_" target="_blank">@Ceskoz_</a> di Francesco Cardarelli @Ceskoz_
22 Maggio 2015
in Editoriali

 colonna sonora: Bob Marley vs. Funkstar De Luxe – Sun Is Shining (Extended Club Mix)

La chiamiamo “evoluzione”, ma quando ti ritrovi con il figlio in braccio cercando disperatamente di cambiare canale o preparare il caffè o fare una telefonata con gli arti inferiori, ti rendi conto che la perdita del piede prensile è una delle più grandi stupidaggini commesse da Darwin. I pochi che riescono nell’impresa entrano di diritto nel Guinnes dei “Primati” (risate registrate).

Un figlio è impegnativo, è inutile negarlo. Se pensate sia come avere uno di quei bambolotti che quando li metti in orizzontale abbassano le palpebre, vi sbagliate di grosso (se avete ancora uno di quei bambolotti e volete fare a cambio con un bambino vero, possiamo accordarci) (scherzo: mio padre mi ha sempre detto “meglio perdere un amico che una battuta”) (mio padre oggi è un uomo molto solo). Un neonato ha bisogno di continue attenzioni, di essere stimolato, di essere coccolato, di essere rassicurato, di sentirsi amato, di essere cambiato e lavato (e in effetti, a parte l’ultimo punto, è molto simile alle mamme, ma questo non si può dire perché potrebbe risultare sessista). Se lo si lascia piangere troppo rimane traumatizzato e da grande potrebbe diventare un misantropo depresso potenziale serial killer, di quelli pericolosissimi che salutano sempre i vicini.

Il pianto, che ricordiamo essere in realtà una serie di assordanti urli in successione, è l’unica forma di comunicazione che il neonato conosce: attraverso questi suoni può dirci che ha fame, che vuole dormire, che vorrebbe ritinteggiare le pareti del salone in verde smeraldo, che vuole andare a salutare i vicini. Non sempre è facile capire le sue esigenze, ma se dopo aver ritinteggiato tutto il salone in verde smeraldo il bambino continua a piangere, conviene provare a dargli da mangiare. Dopo il primo mese di vita oltre alle urla disordinate subentrano altri tentativi di comunicazione, detti “lallazione”: il neonato comincia a sperimentare delle forme di proto-linguaggio basate soprattutto sulla variazione in intensità e lunghezza della sillaba aperta “GU”, che non a caso è anche l’acronimo della Grammatica Universale teorizzata da Chomsky. Su questa rubrica si imparano un sacco di cose eh?

Io pensavo provasse a dire “gugol”.

Tornando a parlare di evoluzione, quando gli esseri umani ancora non facevano troppi danni e vivevano nelle caverne, anche tra adulti comunicavano con versi gutturali super semplificati e secondo me si capivano perfettamente con i neonati (ma questa è una teoria che sto ancora elaborando, con la quale vincerò il Nobel come miglior antropologo linguista non laureato) quindi, di nuovo: siamo sicuri di aver preso la strada evolutiva nella giusta direzione?

Fortunatamente, man mano che aumenta il grado di fiducia e conoscenza tra genitori e infante, cresce anche il livello di comprensione all’interno del nucleo familiare, come è ben spiegato in questa intervista di divulgazione scientifica (è un link, bisogna cliccarci sopra).

Dicevamo che avere un figlio è stressante: quando piange incessantemente il sentimento può passare nello spazio di un secondo dall’empatia addolorata all’odio glaciale, virare sulla frustrazione, sprofondare nel senso di colpa e poi finire sulla tenerezza amorevole. Ogni genitore che ho incontrato alle riunioni notturne dei Genitori Anonimi (la cui uniforme è una qualsiasi maglia con la spalla sbavata e un paio di occhiaie da panda) ha trovato la sua soluzione per calmare l’erede: giri in macchina sui sanpietrini, passeggiate all’aria aperta, pittura del salone in verde smeraldo, incenso all’hashish, cuffie anti rumore da cantiere.

Con mio figlio l’unica cosa che funziona è il linguaggio universale della musica a palla. Adora il reggae, genere che a me dopo un paio di canzoni rompe i coglioni, ma per lui mi sto facendo crescere i rasta e in casa c’è sempre Bob Marley di sottofondo (vanno bene anche le interviste, credo sia interessato proprio al personaggio). Gli piace il jazz caldo, l’ultimo dei Daft Punk, il primo degli Air e la dance anni ’80. Su Miles Davis, Aphex Twin e Pink Floyd s’incazza perché li trova troppo difficili.

Ma quando sei li che balli col tuo cucciolo, che ti si accoccola addosso succhiandosi il pugnetto e sbavandoti la spalla, lo stress e la frustrazione spariscono, il resto del mondo sparisce, anche l’evoluzione sparisce. Siete solo voi due, in una caverna iper tech, senza bisogno neanche di dirvi “GU”, perché siete parte del tutto che è stato, che è e che sarà.

E’ bellissimo, e solo un figlio può regalarti tanto.

Tags: Cardarellidaddy coolneonati

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