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Home » Editoriali » Media Attack

Media Attack

Francesco Cardarelli</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@Ceskoz_" target="_blank">@Ceskoz_</a> di Francesco Cardarelli @Ceskoz_
10 Dicembre 2015
in Editoriali

colonna sonora: Public Energy – Three o’ Three

Per svariati motivi Fuori Tema non può più assicurare un’uscita regolare, mi scuso con gli abbonati e i soci sostenitori che spero capiscano e si stringano l’un l’altro per superare il dolore approfittando anche per toccarsi vicendevolmente. Ora entriamo nel vivo della puntata e a fine lettura andiamo a bere una birra. Sigla.

Il terrorismo è il male del nostro tempo. Si poi c’è la guerra, l’inquinamento, il divario tra ricchi e poveri, il razzismo, il consumismo, la corruzione, il profitto come unico fine a discapito della salute di flora e fauna umani inclusi, il bastone da selfie e le ballerine ai piedi, ma insomma il terrorismo è una delle cose peggiori inventate dall’uomo.

Ad alimentare il terrorismo ci sono una profonda ignoranza o una folle lucidità, una gestione geopolitica fallimentare, l’ingiustizia sociale, la sete di sangue, la sete di potere, errori e dissapori storici, giovani annoiati, i bastoni da selfie, un sistema malato e in qualche modo anche il giornalismo.

Una tragedia come quella del 13 novembre (o dell’11 settembre o dell’11 marzo, per citare solo quelle che ci hanno colpito direttamente e quindi hanno suscitato il nostro interesse perché vicine a casa, ché se uno legge “Istanbul” o “Tunisi” automaticamente pensa che si tratti di un altro mondo e cerca le notizie di gossip) è stata amplificata un milione di volte dai siti e dai canali all-news, che infatti aggiungerei alla lista dei mali del nostro tempo, finendo per distorcere completamente la realtà dei naviganti/telespettatori i quali sono stati proiettati in un allucinante stato di guerra all’interno del quale l’idea della guerra come soluzione al terrorismo è risultata perfettamente logica.

Peccato che la realtà sta fuori dalla finestra e non dentro un monitor.

Facendo il cameraman mi sono ritrovato a riprendere un giornalista che parlava di “città militarizzata risvegliata nello sgomento e nella paura” mentre dietro di me i vecchi chiacchieravano in piazza e i bambini giocavano a pallone. Lo spettatore medio si fa un’idea della realtà attraverso quello che vede e che sente dai media (da cui “spettatore medio”) e grazie alle all-news ora questo bombardamento di “notizie” è continuo, televisioni e siti hanno fatto a gara di sensazionalismo. Per due settimane non si è parlato che di morte, di attacchi, di scontro tra civiltà; un ottimo modo per diffondere la serenità.

Nell’elenco dei mali del nostro tempo c’è il profitto come unico fine senza badare alle conseguenze. La concorrenza nell’informazione oggi funziona così: il media A spara la cazzata X in prima pagina, il media B rilancia con la cazzata X+1 in prima pagina e la lotta continua arrivando a X elevato a N fino a cambiare completamente argomento e dimenticare totalmente X (che può essere Je Suis Charlie o un pitbull mangia-bambini o un rumeno stupratore). Molto spesso succede che qualcuno si renda conto che X era una cazzata ma dopo aver campeggiato sulle prime pagine per giorni, aumentando a dismisura i profitti senza badare alle conseguenze, una piccola rettifica potrebbe apparire in quinta pagina, scritta in piccolo, del tipo “comunque in realtà X era più Y”. Come i vaccini che provocano l’autismo o il prosciutto che fa venire il cancro. O specificare che “allarme bomba” il 90% delle volte significa “qualcuno ha fatto uno scherzo telefonico”.

Per esempio ad un certo punto è girata la notizia che nello stadio di Hannover il 17 novembre siano state trovate 3 bombe in un’ambulanza, notizia che provoca un naturale senso di paura e smarrimento, salvo poi scoprire che è ‘na cazzata e che “qualcuno ha fatto uno scherzo telefonico”, anche se non ci sono stati titoloni per questa che mi sembra essere una notizia molto più importante.

Ma il danno ormai è fatto. I media sono come quei compagni di classe che vanno dal bulletto e gli dicono “guarda che Quello dice che tua sorella è una zozza”. Poco importa se Quello ha davvero detto una cosa simile o se la sorella del bullo sia effettivamente una zozza. L’importante è che ci sia un po’ di casino intorno a questa storia.

Bruxelles, la tranquilla cittadina nella quale abito da sei anni, ultimamente è stata dipinta come Kabul negli anni 80. Ci sono state perquisizioni nel comune di Molenbeek, sono apparsi i militari fuori dai luoghi sensibili (come d’altronde era già successo a inizio anno, quando eravamo tutti Charlie) e pare che alcuni terroristi di Parigi venissero da qui. Un altro da Strasburgo, per esempio. Ma non è successo niente. Cioè a voler essere freddi calcolatori, da dopo venerdì 13 novembre non è più successo niente di niente. Almeno non in casa nostra. Ho ricevuto decine di chiamate allarmate dall’Italia per sapere se stavamo bene e come fosse la situazione, ma credo che nessuno abbia chiamato quei poveracci lontani che dal giorno dopo si sono ritrovati sotto i giusti e democratici bombardamenti “per vendicare le vittime”. Perché non dimentichiamo che adesso la guerra è diventata l’unica opzione possibile, accettata da tutti. O per lo meno da tutti quelli che si bevono la realtà dai media, invece che nei bar. Che per inciso sono rimasti vuoti solo nel uichènd successivo alla strage, anche a causa di un tempo da lupi.

Molenbeek, per dire, in confronto a Scampia è Lugano.

Con questo cosa voglio dire? Voglio dire che l’unico modo di scampare dalla violenza e dal terrorismo è quello di smettere di accettare tutto quello che viene dai media come fosse la verità. Mi è toccato sentire che “il nostro stile di vita e i nostri valori sono basati sulla pace”. Mi è toccato sentir parlare di “guerra al terrorismo” durante il convegno per la riduzione dell’inquinamento globale. Mi sembra di rivivere le stesse identiche situazioni di quindici anni fa, che quindici anni fa dicevamo avrebbero portato a quello che sta succedendo oggi. Stiamo rifacendo gli stessi errori ma nessuno si alza più a protestare.

Non ho la soluzione per questi problemi, ma penso che spegnere il televisore e uscire di casa o guardare chi ci sta accanto invece di guardare noi stessi attraverso il bastone da selfie siano già un buon punto di partenza.

Concludo con una frase di Malcom X che qualcuno (che ha tutta la mia stima) ha attaccato ad una fermata del tram: “se non state attenti i media vi faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori”. E mi vengono in mente le manifestazioni di migliaia di persone e i media che mostrano 10 coglioni che spaccano una vetrina, che saranno l’unico argomento di cui si parlerà fino al prossimo scoop (cazzata o meno) su cui fare sensazionalismo senza informare né arricchire né dare niente allo spettatore che si spegne sempre di più e si accende solo per farsi i selfie.

Spero di avervi annoiati a morte ma che abbiate capito che potenzialmente potrei salvare il mondo. Detto ciò, vi aspetto nel bar più affollato del quartiere, che il calore umano m’è sempre piaciuto.

Tags: mediaselfieterrorismo

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