Milano – Bankitalia ha fatto tutto quanto in suo potere per rimettere in carreggiata le quattro banche salvate per decreto: Carichieti, Cariferrara, Banca Marche e dell’Etruria. E’ la linea difensiva del Capo del Dipartimento della Vigilanza bancaria e finanziaria di Palazzo Koch, Carmelo Barbagallo, tenuta durante un’audizione davanti alla commissione Finanze alla Camera. Per Barbagallo la vigilanza “è stata continua, di intensità crescente al peggioramento della situazione aziendale, e ha utilizzato l’intero spettro degli strumenti disponibili”. Una posizione che risponde alle critiche di quanti si sono visti azzerare i risparmi, investiti in azioni e obbligazioni subordinate, e che imputano alla Vigilanza un intervento tardivo rispetto all’aggravarsi nel tempo della loro situazione.
Infografica: ecco i risparmiatori coinvolti, 130mila persone
Barbagallo ha poi accusato la Ue di aver imposto il coinvolgimento dei risparmiatori, ricordando che inizialmente l’intenzione dell’Autorità era di far intervenire il Fondo di tutela dei depositi (quello che garanstice i c/c sotto 100mila euro), insieme ad altre banche, per salvare gli istituti. Ma la Commissione europea ha bloccato l’intervento del Fondo, con una posizione che la stessa via Nazionale non ha condiviso. A quel punto si è reso necessario il provvedimento di risoluzione così come ha preso corpo e non è stata percorribile la via che avrebbe evitato le perdite degli investitori. Una presa di posizione che ha fatto scattare la replica di Bruxelles, per la quale “la decisione di far scattare la risoluzione delle quattro banche usando il Fondo nazionale di risoluzione è stata presa dalle autorità italiane. Se vengono usati fondi di Stato per sostenere le banche, indipendentemente da dove essi provengano, si applicano le norme Ue compresa la ‘condivisione degli oneri'”, cioè la partecipazione di azionisti e obbligazionisti alle perdite.
Di nuovo in audizione, Bankitalia ha ricordato che se si fosse attivato interamente il cosiddetto bail-in – cioè il coinvolgimento anche di obbligazionisti più garantiti (senior) e depositanti sopra 100mila euro, che scatterà dal 2016 – oltre alle azioni e ai titoli subordinati sarebbero stati toccati “i circa 12 miliardi di euro di massa ‘non protetta’ delle quattro banche, inclusi i 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate. Con la liquidazione ‘atomistica’, non sarebbe stata assicurata la continuità delle funzioni essenziali delle quattro banche; alle 200.000 piccole imprese affidate si sarebbe dovuto chiedere il rientro immediato, con danni ingentissimi per le economie locali; sarebbero stati tutelati i soli portatori di depositi garantiti, sacrificando i crediti di un milione di risparmiatori e i posti di quasi seimila lavoratori, con una devastante distruzione di valore”. Uno scenario che inevitabilmente, per Barbagallo, sarebbe scattato senza il decreto di risoluzione.
Nella relazione, il direttore para anche un’altra critica che riguarda la svalutazione delle sofferenze trasferite dalle quattro banche risolte alla bad bank che ha il compito di venderle. Il decreto ha portato il loro valore da 8,5 a 1,5 miliardi (il 17% dell’originale), quando in media la copertura dei crediti inesigibili del sistema bancario è sopra il 40%. Ciò ha generato maggiori perdite, assorbite appunto con l’azzeramento di azioni e obbligazioni. Ancora una volta, la strada è stata indicata da Bruxelles: “Le perdite sono state rilevate secondo la metodologia imposta di fatto dalla Commissione Europea, che richiede che la valutazione delle sofferenze sia effettuata assumendo come indicatori i prezzi presumibili in caso di immediata cessione sul mercato, anziché valori coerenti con le ordinarie prassi contabili, che tengono conto della ‘capienza’ delle garanzie e della presumibile durata delle procedure di recupero”. Nel dettaglio, la direzione della concorrenza ha chiesto di valutare al 25% del nominale le posizioni supportate da garanzia reale e all’8% circa le altre.
Anche Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane, ha espresso le sue considerazioni in audizione. Il dg dell’Abi, ripercorrendo la genesi del decreto, ha anticipato l’intervento di Bankitalia sottolineando che secondo l’Associazione sarebbe stato possibile intervenire con il Fondo di tutela dei depositi, senza incorrere in aiuti di Stato a Bruxelles, ma alla fine la scelta è stata differente. Quanto al coinvolgimento dei risparmiatori, ha sottolineato che “anche prima che fossero recepite le direttive europee”, ci sarebbero state perdite per loro in caso di liquidazione coatta amministrativa, con l’eccezione dei depositanti fino a 100mila euro. D’altra parte, già una comunicazione della Commissione Ue dell’agosto 2013 chiedeva di coinvolgere azionisti e obbligazionisti subordinati prima di erogare aiuti pubblici. Il quadro finale del Salva banche, infine, pesa sul settore del credito – che mette insieme circa 4 miliardi di utili – con oneri immediati da 2,35 miliardi (su un totale di quasi 4 d’intervento del Fondo di risoluzione): per Sabatini rappresentano un impegno significativo che ricadrà anche sui 5 milioni di azionisti del sistema del credito.
Il tema della tutela dei risparmiatori continua a scaldare il fronte politico. Solo ieri, il ministro Padoan aveva promesso ‘aiuti umanitari’ per i circa 130mila investitori che si sono visti azzerare obbligazioni subordinate e azioni. Ma il Pd Francesco Boccia ha frenato sull’uscita del titolare delle Finanze: “Penso che al ministro Padoan la frase ‘aiuti umanitari’ sia sfuggita. In tutto questo di umanitario non c’è nulla. Io lo avrei chiamato intervento di solidarietà, così come chiameremo il fondo” che servirà per alleviare le difficoltà degli investitori, in gran parte inconsapevoli dei rischi ai quali andavano incontro. Nell’ambito della Stabilità, ormai è certo, entrerà un provvedimento che però non potrà garantire l’integrale recupero del capitale investito: “E’ evidente che non sarà possibile rimborsare tutto, ma non è nemmeno possibile lasciare la gente sul lastrico”, ha spiegato ancora Boccia. La strada è stretta, perché c’è sempre il rischio che Bruxelles sollevi il problema degli aiuti di Stato. Entro il fine settimana dovrà prender forma tecnicamente l’intervento del governo: la soluzione più quotata, al momento, è per un fondo di solidarietà da 100 milioni circa (meno di un terzo delle perdite degli obbligazionisti), alimentato per due terzi dal sistema bancario. Quanto alla modalità di accedere al ristoro, Bruxelles spingerebbe per il modello spagnolo, quando – nel 2012 – tribunali arbitrali decretarano atteggiamenti scorretti da parte delle banche che vendettero strumenti alla clientela senza informarla adeguatamente. Così, quei risparmiatori furono risarciti.
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