Appesi ad un filo
Sul Guardian, Simon Jenkins descrive il suo tentativo di restare informato sul referendum sulla permanenza dell’UK nell’Unione Europea: un “esperimento” nel quale ha alternato una settimana di sostegno al Remain e una di sostegno alla Brexit. E, nonostante le ovvie differenze ideologiche, ci racconta ciò che i due schieramenti hanno in comune: quando dicono di “voler conoscere i fatti” in realtà intendono che vogliono conoscere i fatti che sostengono la loro teoria, e solo quello.
La Brexit e il web inglese
Le Décodeurs offre uno studio sul sentiment dei siti web inglesi nei confronti del referendum del 23 giugno: Linkfluence, Westminster Advisers e la London School of Economics hanno creato un algoritmo che ha analizzato 2mila siti web che trattano di politica, analizzandone il sentiment e classificandolo come sostegno militante, sostegno moderato, opinione equilibrata, rifiuto moderato e rifiuto militante. L’analisi visuale completa si trova qui, ed è magnifica. Chapeau.
Perché i leader UE non parlano della Brexit?
Per non esporsi troppo vista l’incertezza, dice Der Spiegel, ma non solo: i funzionari europei sono talmente malvisti in Gran Bretagna, che un loro intervento a sostegno del Remain potrebbe portare più voti al fronte Brexit. Juncker ha ottenuto da Cameron una sola possibilità di intervento, nel caso in cui nella settimana precedente il 23 giugno i fautori dell’uscita abbiamo un chiaro vantaggio su quelli della permanenza nell’Unione. Solo ed esclusivamente in quel caso il capo della Commissione potrà parlare – e non lo si potrà accusare di aver spostato significativamente i voti verso chi avversa l’Unione.
Whatever it takes
Anche in caso di Brexit, la BCE è pronta a fare tutto il possibile per salvare l’Europa, come ci racconta Alessandro Merli su Il Sole 24 Ore. Sperando che l’intervento di Draghi, per una volta, non sia necessario.
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