In un incontro letterario a Manchester, un noto scrittore che non posso nominare, davanti alla constatazione che la gente legge sempre meno libri, ha affermato che poco importa, che noi scrittori scriviamo per noi stessi e in fondo non abbiamo bisogno dei lettori. Da scrittore mi rendo conto che lo scrivere è per me ineluttabile.
Anche io ho scritto a lungo senza mai essere pubblicato e forse sono più i miei inediti che i miei editi. Ma che uno scrittore pensi di scrivere solo per se’ mi sembra una vergognosa diserzione. Dalla vita più che da un presunto ruolo sociale di chi scrive. Questo la dice lunga sull’individualismo in cui siamo precipitati e qui nel Regno Unito è forse un segnale dei sentimenti profondi di un popolo disconnesso dalla sua storia e dalla sua memoria.
In questi ultimi giorni prima del referendum i giornali dell’establishment lanciano gli ultimi, ragionevoli appelli in favore del sì. The Spectator, settimanale conservatore, The Economist, la voce della City, finalmente spiegano in chiari ed equilibrati articoli quel che agli inglesi non è stato spiegato mai. Che le direttive dell’Ue non infestano il loro sistema legislativo, che quasi la metà non li riguarda neppure, che le leggi europee devono comunque essere votate anche da rappresentanti inglesi a Bruxelles per essere valide, che i numeri dell’immigrazione sono ben diversi da quelli spacciati per veri dall’Ukip, che nella tanto temuta Corte di giustizia europea ci sono anche giudici britannici e che le sue sentenze non sono diktat dispotici ma rispecchiano il normale stato di diritto dei nostri sistemi democratici, che non è vero che il Regno Unito paga all’Ue 350 milioni di sterline la settimana. Tutte fandonie su cui la stampa popolare britannica ha farneticato per anni e che ora è difficile dissipare.
Un giugno piovoso e grigio rende questi ultimi giorni prima del voto ancora più cupi. La pioggia battente ha bloccato alcune linee ferroviarie. Il mio piccolo giro di sostegno alla campagna del Britain Stronger in Europe oggi mi ha portato a Manchester attraversando canali colmi d’acqua e campagne allagate. C’è molta gente alla serata letteraria organizzata dall’Anthony Burgess foundation, un centro culturale dedicato all’autore del romanzo “L’arancia meccanica” che ha ispirato il film di Stanley Kubrick. Curioso che l’inno alla gioia di Beethoven, che è anche l’inno dell’Ue, sia la colonna sonora di un film tanto dissacrante e feroce. Che la sua violenza sia un monito al male sempre in agguato in un continente che oggi sembra dimenticare gli orrori del suo passato? Anche l’evento di stasera fa parte dell’iniziativa “A cultural case for Europe” con cui un gruppo di editori e scrittori europei mettono in evidenza il sostrato comune delle nostre culture.
La campagna referendaria inglese ha forse poco a che fare con i romanzi e gli scrittori, ma leggere aiuta sempre a conoscere e a sviluppare una capacità di giudizio indipendente. La migliore protezione contro i populismi e i loro miraggi. Chi scrive un libro, come chi dipinge un quadro, non ha niente da insegnare, nulla da dire se non la propria traboccante sensibilità. Ma leggere e coltivare in noi il gusto del non immediatamente essenziale ci aiuta a vedere la profondità delle cose, quel che resta sempre al di sopra del prosaico vivere quotidiano.
L’Europa è ben più che una zona di libero scambio, ben altro che un mercato e una moneta. Ma qui nel Regno Unito non si è parlato di altro nel dibattito referendario. Nel pensiero di chi l’ha immaginata, l’ Europa doveva essere un nuovo umanesimo. Pochi di quelli che voteranno anche per il sì giovedì prossimo qui nel Regno Unito avranno questa idea in mente. Qualunque sia il risultato del voto, da questa idea si dovrà ripartire dopo, a Londra come a Bruxelles e in tutte le nostre capitali. Gli scrittori hanno una parte in questo processo: coltivare e condividere la sensibilità che li contraddistingue e che ci libera dalla schiavitù dell’utile, del vantaggio, dell’interesse. Parole che chiudono e soffocano e che prima o poi portano alla fine di ogni libertà. Anche quella di scrivere.