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Home » Editoriali » Cinque. Oltre la società degli spiriti

Cinque. Oltre la società degli spiriti

Michele Gerace</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@michele_gerace" target="_blank">@michele_gerace</a> di Michele Gerace @michele_gerace
30 Agosto 2016
in Editoriali
Europa, Voltaire

Voltaire

L’ Europa è il continente in cui affondano le mie radici, è la cultura che ho studiato sui libri di scuola e respirato a casa. E’ una ‘società degli spiriti’. L’idea di Europa senza frontiere di Voltaire e dei suoi amici illuministi incomprensibile alla maggior parte degli europei che a quei tempi erano quasi tutti analfabeti. Per Voltaire la cultura europea era unita, al di là delle differenze contingenti, da una stessa sensibilità e uno stesso valore attribuito alla persona. Le necessità del singolo erano contemperate da quelle della collettività. Il diritto rifletteva da tempo un unico modo di pensare e di intendere quell’equilibrio tra singolo e collettività, di rispetto della persona e sensibilità collettiva che già Voltaire trecento anni fa notava. Equilibrio sulla base del quali si è sviluppato il diritto europeo. Non sono uno studioso né di filosofia né di diritto, ma rifletto sul fatto che la legislazione europea si stia man mano uniformando, tendendo ad un’omogeneità anche maggiore che negli Stati Uniti. Questo senza provocare grandi stravolgimenti nei singoli Stati. 

C’è chi si rilassa al mare, chi è convinto della capacità terapeutica delle parole crociate e poi c’è chi non sta bene con se stesso se non parla, scrive o legge di politica europea. Federico Castiglioni è membro del direttivo dei giovani federalisti europei. E’ un amante della musica classica e ci tiene a precisare che è inorridito dalla scelta dell’“Inno alla gioia” come inno dell’ Unione. Credo sia un modo teatrale di esprimere il proprio disappunto. Il genio di Beethoven è indiscusso, ma quel quarto movimento della nona sinfonia, quando fu scelto come inno, era ormai un pezzo amato e sentito da tutta l’umanità. L’Inno è patrimonio mondiale dell’Unesco. Non siamo l’Europa dell”800. E’ come se l’avessimo rubato al mondo e, soprattutto, non scalda i cuori. A me piace! Mi sono ritrovato a cantarlo, o meglio a non cantarlo, decine di volte. Può rappresentare un inno da ascoltare in silenzio, tranne per chi sa il tedesco che lo può cantare. Appartiene comunque alla nostra cultura. Io ne avrei composto uno nuovo, puntando a premiare le eccellenze musicali europee. Siamo ancora la culla della musica, soprattutto di quella classica. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Stai lanciando l’idea di un concorso europeo per il nuovo inno. Un inno deve essere amato dai giovani di oggi e dai giovani delle future generazioni che potrebbero sentire ancor di più l’Europa come una grande casa comune. Cinque è il titolo di questo articolo in questo blog, Il quinto di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa.

L’Europa è la nostra casa comune, Quello che manca è certamente la coscienza che l’Unione rappresenta un’unità di uomini e donne, non di Stati. Tutti vorrebbero un’Europa che parli alle persone, una bandiera nella quale identificarsi, un inno da cantare e uno spazio politico nel quale confrontarsi. A parte la bandiera, l’inno che tutti possono ascoltare e solo alcuni possono cantare in tedesco, e il motto ‘Uniti nella diversità’ disponibile in 24 lingue, l’Europa oggi è ancora una creatura ibrida, in cui le tensioni politiche si riverberano nelle sale ovattate dei salotti diplomatici mentre le persone vogliono che qualcuno esca, parli loro in modo comprensibile e risolva i problemi. Un’Europa politica. 

Messi da parte i tabù che negli ultimi cinquanta anni hanno ostacolato l’Unione politica, ci sono decine di teorie su come la si potrebbe realizzare: federazione, confederazione, un grande stato, una forma ibrida, una nuova Unione Europea rafforzata (a più velocità, a cerchi concentrici, etc..). Questo è un tema di architettura istituzionale. Incide molto sul corretto funzionamento della struttura politica ed è giusto che ci si insista molto, perché se una struttura è troppo fragile, come quella attuale, rischia di andare in pezzi. Andiamo alla sostanza. Quello che oggi si deve riscoprire è la sostanziale unità e, sarò considerato audace, omogeneità dei popoli europei, o forse si dovrebbe dire del popolo europeo. Siamo un popolo europeo? Se la canta e se la suona. Si e no. E’ un processo che va avanti da secoli e non si è ancora concluso. Del resto ci sono tanti bavaresi che si sentono poco tedeschi, gli scozzesi non si sentono britannici, non parliamo dei catalani o di molti sardi.. diciamo che se per popolo si intende un insieme indivisibile di persone, una monade, allora non esiste. Ci sono moltissime persone in Europa che, consciamente o inconsciamente, sono nate in un panorama culturale specifico, quello europeo. Condivido. Vuol dire che hanno studiato la storia del nostro continente a scuola, che hanno delle idee di fondo simili sulla vita e i diritti degli individui, che si muovono in un panorama scientifico, artistico, sociale, peculiare solo all’Europa e molto simile tra un Paese all’altro. Perché ci sia un popolo manca probabilmente solo la consapevolezza. 

Consapevolezza, coraggio e buona immaginazione. Tra quindici anni vedo l’ Europa come unico posto al mondo con un sistema di welfare sostenibile, che sappia fornire servizi senza gravare troppo sul bilancio pubblico. Vedo un’Europa certa della sua identità e dei valori che rappresenta e per questo meno spaventata dalle differenze. Vedo un’Europa che ha investito nei Paesi meno sviluppati e vi ha tratto giovamento, attenuando il dramma migratorio. Vedo un’Europa all’avanguardia nella ricerca e che vuole pensare in grande: ridiscutere l’idea di politica, di economia e di arte. Vedo un’Europa che vuole esplorare lo spazio, riscoprendo la curiosità e la predisposizione al nuovo e al diverso che l’hanno resa grande. Questa è l’ Europa che vorrei vedere. Quasi sicuramente non accadrà. L’Europa ha bisogno di un cambiamento profondo, sia di istituzioni che di mentalità. Dal ‘700 ad oggi il numero degli analfabeti dovrebbe essere diminuito e l’idea di Europa a quei tempi ancora troppo elitaria, la ‘società degli spiriti’ che Federico Castiglioni ha richiamato, può essere condivisa sia dalle classi dirigenti che da circa mezzo miliardo di cittadini. Oggi la politica, l’economia, la cultura stessa sono bloccate dalla paura. La paura è di perdere posizioni, denaro, influenza. Si appiattiscono nella mediocrità, nei problemi contingenti, nella polemica sterile, in ciò che si ritiene sia più vicino al cittadino ma che in realtà nella vita delle persone conta quanto lo “zero virgola” che il sondaggista indica come mutamento delle preferenze alla fine della settimana. La conseguenza più immediata della mediocrità è la chiusura. Muri. Involuzione. Chiusura laddove dovrebbe esserci apertura. Un pizzico di coraggio. Dialogo. Progresso. A partire dalla consapevolezza di essere parte di un grande comunità. Dalla volontà di condividere una visione. Immaginare quello che ancora non è possibile vedere. Realizzarlo. Essere più forti perché uniti.

 

Tags: europagiovani federalisti europeiVoltaire

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