Bruxelles – La campagna ideata da Beatrice Lorenzin per il Fertility day ha creato un polverone in Italia. Il post indignato di Roberto Saviano ha dato la stura a tutta una serie di interventi che criticavano l’iniziativa ritenendola offensiva soprattutto per quelle donne che non se la sentono di avere figli perché magari non hanno una stabilità economica, sono costrette a emigrare o si stanno dedicando alla carriera. Maria Grazia Giudice è una ginecologa italiana che dopo aver fatto la specializzazione in Svizzera, aver lavorato in Afghanistan in un ospedale di Emergency, è venuta in Belgio dove si occupa di procreazione medicalmente assistita. Dal suo punto di vista di medico e donna di sinistra tutte queste polemiche sono esagerate e non raggiungono il punto fondamentale della questione.
Cosa pensa del Fertility Day?
“Io sinceramente non ho capito di cosa si siano tanto scandalizzate le donne italiane, e lo dico da donna di sinistra. Certo forse la campagna non è stata fatta al meglio, ma la questione che solleva è giusta: la fertilità ha un orologio biologico e di questo tantissime donne non sono consapevoli. Ce ne accorgiamo noi che lavoriamo alla procreazione medicalmente assistita”.
In un Paese con un disoccupazione giovanile altissima, con tante donne e uomini costretti a emigrare questo invito a fare figli a molti è sembrato una beffa
“Ma la campagna del Fertility day, che ripeto poteva forse essere fatta meglio, non era un invito a ripopolare l’Italia. La polemica è stata montata anche da interpretazioni sbagliate: le femministe hanno pensato che si volevano chiudere le donne in casa per relegarle al ruolo di madre, altri hanno sottolineato che c’è la crisi e quindi è dura fare una famiglia. Ma Lorenzin è il ministro della Salute, mica della Demografia, è il suo compito quindi fare una campagna per far capire alle donne che dai 35 anni la riserva ovarica si degrada in termini di quantità e qualità e che superati i 40 anni alcune di loro per avere un figlio potrebbero essere costrette a far ricorso alla procreazione assistita, che è un percorso difficile, in cui la donna deve far fronte a una terapia ormonale non indifferente, molto pesante per il corpo e il cui tasso di successo è tra il 35-40%”.
Insomma per lei tutte queste polemiche sono state esagerato
“Come per il rischio del cancro della cervice si deve dire di fare una visita all’anno e un pap test almeno ogni tre anni e come dopo i 50 anni si deve aumentare il numero delle mammografie per monitorare il rischio di tumori al seno, così si deve dire alle donne: siate consapevoli che la vostra fertilità non è per sempre, non crediate semplicemente che sia la menopausa la fine della vostra possibilità di avere figli. Certo sono ambiti molto differenti, e nel primo si parla di salvare delle vite, ma in entrambi i casi si tratta di campagne di prevenzione”.
Le considerazioni “economiche” e personali quando si sceglie di fare un figlio però restano.
“Questo tipo di considerazioni sono comprensibili e anche giuste, ma non possono essere le uniche. Oggi si aspetta di avere tutto per fare un figlio, non è detto che deve essere così, perché poi il desiderio di maternità è slegato dalle mere considerazioni economiche. Le donne che si rivolgono a noi per la procreazione assistita non sono mica tutte donne ricche, sono donne con problemi di ovulazione che devono rivolgersi a un aiuto medico e ripeto, questi problemi sono più comuni con il passare dell’età. Questo dal punto di vista medico deve essere chiaro e spiegato alle persone, poi ognuno fa le scelte che vuole. La fertilità non è infinita e anche la libertà di scegliere se e quando avere figli non può prescindere da questa consapevolezza”
In Belgio ci sono campagne di sensibilizzazione sulla fertilità?
“No qui no, e in questo l’Italia si è mostrata all’avanguardia. Queste campagne di solito si fanno nei Paesi del Nord dove certo c’è meno crisi, ma le donne magari decidono di aspettare a fare figli per la carriera o per altre motivazioni individuali. La campagna danese ad esempio ha avuto grande successo ed è piaciuta anche in Italia e in altri Paesi europei, perché faceva leva più sul sesso che sulla fertilità. In un Paese cattolico come il nostro una cosa del genere sarebbe difficile da fare, ma il senso alla fine è lo stesso”.
In Italia è anche difficile fare la procreazione assistita
“Le cose stanno migliorando e ci sono più possibilità ma resta ancora molto complicato, nelle strutture pubbliche le liste di attesa sono lunghissime e se ci si rivolge al privato si deve pagare tutto. Qui in Belgio i primi sei tentativi di procreazione assistita sono rimborsati dallo Stato. Le donne italiane continuano però ad andare all’estero per avere figli in vitro, soprattutto in Spagna dove sono permesse le banche dell’ovulo e le ragazze vengono pagate per donarlo. Ma in Italia queste cose sono lontane anni luce: un motivo in più per avere consapevolezza del proprio orologio biologico”.