Roma – “L’operazione Sophia”, avviata dall’Unione europea contro il traffico di esseri umani nel Mediterraneo, “può produrre risultati solo se viene attuato tutto l’insieme dell’Agenda europea sulle migrazioni”. Lo ha spiegato stamane Enrico Credendino, l’ammiraglio italiano a capo della missione, ascoltato in audizione davanti alle commissioni Esteri e Difesa della Camera.
L’alto ufficiale di Marina ha sottolineato che “ad oggi sono state soccorse oltre 29mila persone” grazie all’intervento europeo posto sotto il suo comando, e che “il 10% di queste era già in grave difficoltà”, su imbarcazioni che stavano affondando, e “senza il nostro intervento sarebbero probabilmente morti”.
In relazione ai flussi migratori, Credendino ha indicato che se “fino al 4 aprile, quando è entrato in vigore l’accordo Ue-Turchia, il 90% dei migranti arrivava dalla rotta balcanica”, dopo quella data la situazione si è capovolta, e adesso “il 90% circa arriva in Europa da Sud, in italia”. Tuttavia, ha precisato, “questo non vuol dire che stiano arrivando da Sud i siriani e i mediorientali”. Al momento, infatti, “continuano ad arrivare gli africani della zona subsahariana, gli eritrei, i somali, negli ultimi giorni molti del Bangladesh. Siriani ce ne sono ancora pochi”.
Di tutti questi migranti, il 90% raggiunge le coste italiane dalla Libia, ma c’è anche un 10% che proviene dall’Egitto. “Il flusso egiziano si era interrotto l’anno scorso, ma il 4 aprile, lo stesso giorno in cui è entrato in vigore l’accordo Ue-Turchia, è ripreso, e da allora ad oggi abbiamo visto 41 grandi pescherecci, che portano mediamente 300-500 persone, partire da Alessandria e da Rashid direttamente verso l’Italia”.
“Gli egiziani ci dicono che fanno il possibile per pattugliare le loro coste”, ha riportato l’ammiraglio, aggiungendo però che “in realtà vengono informati delle partenze” in anticipo, perché “ci sono alcune Ong che, fino a cinque giorni prima che parta un peschereccio, informano anche noi”. Dunque, “gli egiziani non fanno nulla per fermarli”, è l’accusa di Credendino, con il risultato che dall’Egitto “sono arrivate 11mila persone e altre ne continueranno ad arrivare”.
“L’Unione europea sta lavorando per portare gli egiziani dalla nostra parte”, ha spiegato ancora il capo dell’operazione Sophia, segnalando le difficoltà legate all’appoggio del Cairo al generale Khalifa Belqasim Haftar, comandante dell’autoproclamato esercito libico. Quindi, “senza un ruolo per Haftar sarà molto difficile arrivare a una stabilizzazione della Libia nel breve periodo”.
L’alto ufficiale ha poi sottolineato l’importanza dell’addestramento della Guardia costiera libica prevista dalla seconda fase della missione Ue. Le operazioni partiranno stanotte, ha ricordato Credendino, e sono fondamentali non solo per creare una capacità di contrasto agli scafisti e ai trafficanti di droga e armi direttamente in Libia, ma anche perché “è un modo per conoscersi” e preparare il terreno per la fase successiva, che prevede l’intervento di Eunavfor Med in territorio libico e in collaborazione con le autorità di quel Paese.
“Contiamo di vedere i libici pattugliare insieme a noi entro l’estate”, ha dichiarato l’ammiraglio. Un obiettivo da raggiungere nonostante “manchino le risorse finanziarie” e “la burocrazia europea non ci aiuta” a risolvere il problema, ha denunciato. Il punto è che, da un lato, l’addestramento rientra nella missione militare, e “la Commissione europea non può finanziare la missione militare”, dall’altro ha caratteristiche di operazione civile che non può essere sostenuta con le risorse del fondo per le operazioni militari.
Per un contrasto più efficace agli scafisti – in attesa di poter passare alla terza fase dell’operazione Sophia – bisognerebbe poterli arrestare in acque territoriali libiche. Cosa che attualmente “non possiamo fare” perché manca il quadro giuridico adeguato. Credendino indica due strade. La prima prevede “un accordo di trasferimento” tra l’Ue e la Libia, che consenta alla missione europea di catturare i trafficanti e consegnarli alle autorità di quel Paese, “ma su questo si oppongono alcuni stati membri per motivi umanitari, a causa delle condizioni delle carceri libiche”. L’altra strada sarebbe quella di un “accordo bilaterale tra la Libia e un Paese dell’Ue”, che consenta di arrestare gli scafisti e portarli nello Stato membro, “come avviene oggi con l’Italia” per quelli che vengono catturati in acque internazionali. In attesa di una soluzione, rimane difficile assicurare i trafficanti alla giustizia, perché stanno bene attenti a lasciare le imbarcazioni cariche di migranti prima di uscire dalle acque territoriali libiche.