Roma – Sono misure “particolarmente deboli, confuse e che non aiutano a risolvere il problema” della concorrenza sleale dell’acciaio cinese nei confronti di quello prodotto in Europa. È decisamente negativo il giudizio di Federacciai nei confronti della riforma degli strumenti europei di difesa commerciale, così come formulata dal Consiglio a dicembre, e della riforma del metodo di calcolo del dumping proposta dalla Commissione Ue.
Con questo parere “di forte negatività”, spiega in audizione alla Camera il direttore generale dell’organizzazione che fa capo a Confindustria, Flavio Bregant, “chiediamo al Parlamento europeo e al governo italiano di mantenere la linea molto forte e chiara di un miglioramento sostanziale degli strumenti di difesa commerciale” dell’Ue, perché il “compromesso al ribasso” raggiunto in seno al Consiglio “indebolisce ulteriormente” le armi a disposizione della Commissione per tutelare le imprese europee da una concorrenza sleale esterna.
Allo stesso tempo, aggiunge Bregant, per riformare il metodo di calcolo del dumping così come propone l’esecutivo comunitario “chiediamo che si attenda la decisione del Wto”, l’Organizzazione mondiale del commercio, sul ricorso contro l’Ue e gli Usa presentato dalla Cina, “perché sarebbe paradossale che se vincessimo, nel frattempo avremo comunque cambiato la regolamentazione”, indica il rappresentante degli industriali dell’acciaio.
La principale critica di Federacciai riguarda l’applicazione della ‘lesser duty rule’, la regola dell’onere minore, la quale fa sì che “il livello medio del dazio” imposto dalla Commissione europea nelle procedure anti-dumping sia “sempre più basso del livello medio del dumping”, denuncia Bregant. A suo avviso, le tre clausole introdotte per escludere l’applicazione della ‘lesser duty rule’, e quindi imporre dazi più alti, sono applicabili “solo in linea teorica”.
Riguardo alla prima, ricorda, è necessario che vi siano distorsioni dei prezzi di materie prime che pesano individualmente per almeno il 7% sui costi di produzione e collettivamente per almeno il 27%. “A livello europeo tutto l’acciaio inossidabile non riesce a soddisfare queste soglie”, denuncia l’esponente di Federacciai, e “anzi sono proprio le produzioni più qualificate” a essere escluse da questa clausola.
La seconda condizione, per gli industriali italiani, penalizzerebbe poi anche il resto della produzione di acciaio, perché richiede che le distorsioni “siano significative rispetto al prezzo internazionale delle materie prime” in oggetto. Tuttavia, dal momento che “la Cina è il principale acquirente mondiale di minerale di ferro”, la più importante materia prima per la produzione di acciaio, “è chiaro che il prezzo sul mercato lo fa la Cina” che dunque, secondo Bregant, può disinnescare questa seconda clausola.
La terza condizione, infine, prevede che non si applichi la ‘lesser duty rule’ solo se questo è nell’interesse comunitario. Anche questo è un problema per gli acciaieri italiani, perché “l’Europa è divisa in due” tra chi ha un’economia con una forte componente industriale e “i paesi che non hanno più manifattura e il cui interesse è avere i prezzi più bassi possibili per i semilavorati, anche in dumping”, sottolinea il dirigente di Federacciai. La conseguenza, indica, è che “l’interesse comunitario sarà ben difficile da dimostrare in modo chiaro”.
Riguardo all’altro provvedimento, la riforma del metodo di calcolo del dumping, la proposta è stata “presentata a novembre dalla Commissione Ue sulla scorta della richiesta della Cina, che ritiene automatico essere considerata un Paese a economia di mercato”, accusa Bregant. Anche questa misura “è molto debole – sentenzia l’esponente degli industriali – perché andrebbe a togliere certezze giuridiche al calcolo del dumping, ribaltando l’onere della prova dalla Cina alla Commissione europea, riconoscendo di fatto il diritto dei cinesi ad essere trattati come un’economia di mercato”.