Sale all’Eliseo Emmanuel Macron, “leader extrasistema” secondo Nicola Genga – direttore del Centro per la Riforma dello Stato e autore di un saggio sull’evoluzione del Front National.
“Nelle presidenziali conta il voto di opinione più di quello di appartenenza”: dal suo punto di vista il successo di Macron è dovuto alla sua candidatura di rottura e al suo ruolo di outsider: la Francia chiede qualcosa di nuovo.
Infatti, per Nicoletta Pirozzi – Responsabile di Ricerca dell’area Europa dello IAI e professoressa di Scienze Politiche a Roma Tre – Macron è riuscito a intercettare lo scontento con mezzi innovativi, una campagna social, un team giovane e forme di partecipazione alternative.
Disaffezione, mancanza di fiducia verso i partiti tradizionali e scollamento tra questi e gli elettori favoriscono l’affermazione di partiti nuovi e movimenti in tutta Europa: da qui il trionfo di En Marche!
Genga ha parlato del suicidio politico dei candidati dei partiti tradizionali: François Fillon, repubblicano, è stato penalizzato dagli scandali, mentre la candidatura di Benoît Hamon, socialista, è stata delegittimata dalle endorsement in favore di Macron.
Nonostante abbia vinto, il fondatore di En Marche! avrà difficoltà ad ottenere una buona maggioranza in Parlamento, con il rischio di ingovernabilità, presente secondo la Pirozzi. “I risultati elettorali hanno dimostrato che l’elettorato è diviso”. Le presidenziali non hanno dato infatti risultati chiari: i quattro candidati al primo turno si sono distanziati di pochi punti tra loro e dunque potrebbe esserci frammentarietà alle legislative. Si disegnano scenari di coabitazione – afferma la ricercatrice – con la maggioranza parlamentare di un altro orientamento rispetto al Presidente.
Dalle coalizioni che si formeranno, dipende infatti l’applicabilità del programma politico di Macron, che mira al cambiamento economico e a rilanciare la cooperazione internazionale ed europea, soprattutto nei settori di polizia e intelligence per contrastare terrorismo e immigrazione clandestina.
Due i possibili scenari: una coalizione di sinistra, con i socialisti di Hamon e i radicali di Jean-Luc Mélenchon, o un’alleanza che comprenda esponenti di destra e di sinistra.
Forte il parallelismo con le elezioni del ‘69: un favoritissimo, prima Pompidou e ora Macron, e un’affluenza minore al secondo turno rispetto al primo, a causa dell’assenza di un candidato di sinistra, il che ha tolto a una larga fetta della popolazione qualcuno in cui riconoscersi.
L’astensionismo e le schede nulle, se sommati, sono fenomeni significativi, ma non tanto da cambiare il risultato finale delle presidenziali: lo stacco percentuale è troppo alto.
Una grossa fetta della popolazione non si è espressa o si è espressa a sfavore di entrambe, assecondando la “politica del ni ni” lanciata da Mélenchon: né Le Pen, male assoluto, né Macron, temuto banchiere della casta economica. L’atteggiamento del 25% dei cittadini francesi da tenere in considerazione in futuro.
Eleonora Artese, Giulia Doneddu