Roma – I passi che si stanno muovendo per la promozione di un’industria europea della difesa sono un toccasana per l’Italia. La pensa così Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, la ex Finmeccanica. In un’audizione a Montecitorio, il manager rivela ai deputati “la profonda convinzione che senza programmi europei questa industria (della difesa, ndr), soprattutto quella italiana, ha grandi difficoltà a essere sostenibile sul lungo termine”. Quindi, per profumo la partecipazione alle iniziative comuni sulla difesa “è assolutamente chiave”.
Secondo l’amministratore di Leonardo, “non può essere l’industria da sola” a reggere il peso di queste iniziative, “perché la credibilità della nostra partecipazione, non nella parte di ricerca ma in quella di ‘capacity building’, è molto legata alla capacità di investimento dei Paesi nei sistemi di difesa comune”. Di conseguenza, avverte Profumo, “Dovremo fare le scelte su quali sono le capacità che come Paese vogliamo sostenere” e “partecipare ai programmi europei con convinzione”.
Il manager pubblico è convinto che si debba percorre la strada dell’integrazione, perché “se si disperdono capacità, know-how e competenze diventa quasi impossibile ricostruirle nel tempo”. È lo stesso motivo per cui confessa di vivere “con preoccupazione” gli sviluppi dell’accordo tra Finmeccanica e Stx sui cantieri di Saint-Nazaire, “perché i francesi sono bravi a tutelare le loro competenze”, e di conseguenza “sarà opportuna un’attività specifica per tutelare le nostre”.
Profumo invita i parlamentari a un’ulteriore riflessione, per decidere “se parleremo di sicurezza nazionale come singolo Paese”, o se invece sarà “intesa come capacità europea di costruire sistemi di difesa”. “Tendo a pensare che dovremo allargare il perimetro”, suggerisce il rappresentante di Leonardo, “perché non necessariamente abbiamo tutta la capacità di investimento, in un singolo Paese, per tutti gli strumenti di difesa”.
L’esempio che il manager sottopone ai deputati è quello dei sistemi radar, molto onerosi perché devono essere in grado di individuare minacce provenienti anche da continenti lontani. “Dobbiamo scegliere se come Europa vogliamo avere un sistema di radar nostri, o se accettiamo di comprare dei componenti da altri Paesi”, indica. Il suo auspicio è che la decisione “ricadrà su un sistema completamente europeo”, ma in questo caso “dovremo fare degli investimenti” sufficienti, avverte.