Bruxelles – Il socialismo europeo non se la passa molto bene, anzi sta vivendo probabilmente una delle peggiori crisi della sua storia. Dopo la batosta elettorale rimediata ieri dal Partito Democratico di Matteo Renzi, che si è fermato al 18,7%, quasi sette punti sotto il risultato del 2013 e meno della metà dei consensi delle europee del 2014, le forze legate al Pse sono praticamente sparite da tutti i grandi governi europei, o sono relegate a ruoli di subalternità al centrodestra come accadrà in Germania.
Quello del Pd è solo l’ultimo di una serie di risultati a dir poco disastrosi. Alle presidenziali dello scorso anno in Francia i socialisti guidati da Benoît Hamon erano finiti sotto lo schiacciasassi Emmanuel Macron, fermandosi a un misero 6,19% dietro non solo a En Marche, alla destra populista del Front National e ai Repubblicani, ma anche alla sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, il cui France Insoumise superò il 14 dei consensi%.
Per niente meglio è andata alla Spd di Martin Schulz. Anche l’ex presidente del Parlamento europeo ha condotto i socialdemocratici verso la sconfitta, con il partito che è arrivato secondo, dietro la Cdu di Angela Merkel, con il 20,5% delle preferenze, e perdendo il 5% rispetto alle precedenti elezioni. Proprio ieri, dopo mesi di trattative, la base dell’Spd ha dato il via libera a una nuova Grande Coalizione, una scelta che inizialmente era stata scartata da Schulz, ma che poi è stata accettata dopo il tramonto dell’ipotesi di un governo “giamaicano” guidato da Merkel con Verdi e Liberali.
Sempre lo scorso anno sono stati sconfitti poi in Austria i socialdemocratici dell’ex premier Christian Kern, battuti dal giovane popolare Sebastian Kurz, che ora governa con l’estrema destra del Partito della libertà.
Non era andata meglio nel 2016 al Psoe spagnolo, che seppur era riuscito a evitare il previsto, ma non realizzato, sorpasso di Podemos, ha collezionato con il 22,7% delle preferenze il peggior risultato nella storia socialista nel Paese, in emorragia di voti in fuga verso il movimento guidato da Pablo Iglesias e quello di Albert Rivera, Ciudadanos.
Inutile poi parlare della Grecia, dove il Pasok si fermò nel 2015 al 6,28%, sotto anche la destra neofascista di Alba Dorata.
A riaccendere le speranze dei socialisti solo pochi esempi di rilievo. Nel Regno Unito ci sono i Labour di Jeremy Corbyn, che ha rilanciato il partito portandolo su posizioni più radicali, invise da tanti moderati, anche italiani. Nelle elezioni dello scorso anno ha guadagnato 32 seggi in più rispetto alla precedente consultazione, facendo segnare il primo incremento di posti in Parlamento dalla prima vittoria di Tony Blair nel 1997. Da allora il Labour aveva continuato a perdere punti, anche quando alla guida c’era ancora Blair e quest’ultimo uscì vincitore nel 2001 e nel 2005. A Corbyn non è bastato per battere i conservatori di Theresa May e andare al governo, ma il segnale è arrivato forte e chiaro.
Altro, piccolo, barlume di speranza per la famiglia socialista splende forse in Portogallo dove il PS di António Costa, sempre nel 2015, ha ottenuto un buon 32,3% e, pur essendo arrivato dietro ai popolari, è stato capace di formare un governo con Verdi e sinistra radicale, diventando un esempio di sinistra di governo. Un po’ poco in realtà, ma forse il socialismo europeo deve provare a ripartire da lì.