Roma – “Noi, tutti insieme, possiamo tenere viva l’Ue aspettando tempi migliori ed europeisti migliori di noi, ma obbiettivi più precisi li dobbiamo lasciare all’integrazione differenziata, altrimenti possiamo solo paralizzarci gli uni gli altri”. È la riflessione che il giudice costituzionale Giuliano Amato consegna alla platea invitata ieri dall’Istituto affari internazionali, insieme con la fondazione Friedrich-Ebert e il centro Villa Vigoni, per riflettere sul futuro dell’Unione europea a un anno dal 60° anniversario dei Trattati di Roma. Un’iniziativa organizzata vicino Piazza di Spagna, a Roma, ma che “la prossima volta dovrebbe tenersi a Tor Bella Monaca, in periferia, dove non siamo ‘fra di noi’ ma tra i cittadini”, indica l’ambasciatore Michele Valensise, presidente di Villa Vigoni. Proposta raccolta dall’altra organizzatrice, la direttrice dello Iai Nathalie Tocci, condividendo l’obiettivo di portare la riflessione sull’Europa da costruire nei luoghi dove è più alto il senso di scetticismo e disillusione.
Stimolato dalle domande del direttore di Eunews Lorenzo Robustelli, Amato porta qualche esempio a supporto della propria tesi. Il primo riguarda la governance dell’Eurozona. Ripensiamola “sganciandola dal resto e uscendo dall’equivoco, indotto dai britannici, che le questioni dell’area euro devono essere discusse da tutti perché riguardano tutti”. Anche perché, aggiunge Amato, quello a 27 – o a 28 finché non uscirà il Regno unito – “è un forum più capace di riflettere le divergenze che di realizzare le convergenze”. È “pragmatismo”, secondo l’ex presidente del Consiglio che non vede di buon occhio neppure l’ampia partecipazione alla cooperazione strutturata permanente (Pesco) sulla difesa europea. “Ha senso una Pesco a 26?” si domanda. No, “è priva di senso”, liquida senza appello. Se poi si guarda alle cifre del Fondo europeo per la difesa promosso dalla Commissione Ue, dice, “si tratta di noccioline rispetto a quanto spendono gli stati membri”.
L’ex premier si dice “perplesso” sulle capacità di avanzamento degli Stati membri verso una maggiore integrazione. Un altro sintomo è dato dalle “questioni economico sociali: siamo al punto che non le si può neppure mettere all’ordine del giorno del Consiglio perché ci sono paesi nordici che non sono disposti neppure a parlarne”.
Proprio questo aspetto è uno dei punti più critici attorno ai quali si rischia di dare ulteriore elemento agli euroscettici. Lo indicano chiaramente l’ex senatore Paolo Guerrieri, economista, e Andreas Botsch, della confederazione dei sindacati tedeschi Dgb. Il sindacalista constata che oggi “le libertà del mercato unico hanno più valore dei diritti sociali dei lavoratori, per questo i lavoratori si sono rivolti alle forze populiste: vedono una concorrenza transfrontaliera (sulle politiche sociali e fiscali, ndr) che mette in pericolo le loro vite. Per questo non è possibile un’Europa comune se l’agenda sociale resta indietro”, ammonisce.
Guerrieri concorda, e a sua volta mette in guardia dal lasciare senza risorse il Pilastro sociale europeo. “La prospettiva è disastrosa”, dice, perché “si parla di misure a costo zero”. Se sarà così vorrà dire che si è generata “l’ennesima illusione” per i cittadini, i quali perderanno ulteriormente la loro fiducia nell’Ue. E a fare da contraltare al “populismo” che nei paesi del Sud si alimenta di queste speranze di solidarietà tradite, c’è un altro, che sta montando nei paesi nordici e che si “manifesta accusando l’Europa di troppa solidarietà”. Il riferimento di Guerrieri è al documento sottoscritto da Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Irlanda e le tre Repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania, in cui sostanzialmente si dice no all’Unione dei trasferimenti, no al bilancio comune dell’Eurozona e a un ministro delle Finanze europeo, pretendendo il rispetto inflessibile del Fiscal compact” e dei vincoli di bilancio. Anche questo un sintomo che l’integrazione europea, per procedere nell’immediato, potrà seguire solo percorsi differenziati.