Bruxelles – Piogge torrenziali, temporali più frequenti e innalzamento dei mari. Oltre ad essere conseguenza del cambiamento climatico, sono anche la principale causa delle alluvioni che caratterizzano i Paesi europei negli ultimi anni. Come la stessa Italia, in quest’ultimo novembre più che mai.
A dirlo è la Corte dei Conti europea, che oggi ha presentato a Bruxelles un nuovo report, “Floods directive: progress in assessing risk, while planning and implementation need to improve”, basato sulle visite in otto Stati membri, tra cui anche l’Italia.
“La direttiva europea del 2007 sulla valutazione e gestione dei rischi di alluvioni ha portato effetti positivi, ma sono necessari ulteriori miglioramenti. L’attuazione delle misure di prevenzione delle alluvioni, in particolare, ha risentito di debolezze riguardanti l’assegnazione dei fondi. Le sfide più importanti per il futuro consistono nell’integrare maggiormente i cambiamenti climatici, l’assicurazione contro le alluvioni e la pianificazione territoriale nella gestione del rischio di alluvioni”, sostiene Phil Winn Owen, membro della Corte dei Conti, sottolineando come siano passati ormai dieci anni dall’adozione della direttiva, e “nel frattempo le inondazioni sono cambiate, sono più frequenti e causate univocamente dalla velocità con cui sta mutando il clima”. Impossibile, quindi, affrontare correttamente le sfide future con studi storici e che guardano agli eventi passati, perché “si tratta di un fenomeno dettato da cause diverse e che richiede risposte diverse”.
La direttiva Alluvioni si basa su quanto realizzato in passato. Essa, si legge nel report della Corte dei Conti, dà la possibilità agli Stati membri di utilizzare i documenti già esistenti riguardanti la pianificazione e la valutazione del rischio. L’Italia, ad esempio, ha utilizzato i documenti esistenti anziché effettuare una nuova valutazione preliminare del rischio di alluvioni. Risposte datate per problemi nuovi, insomma.
I metodi di prevenzione tradizionali delle alluvioni non sono sufficienti. Le cosiddette “misure grigie” (spesso costruite in calcestruzzo), consistenti in dighe, canali e altri tipi di barriere, necessitano di essere combinate con “misure verdi”, come l’utilizzo di pianure alluvionali o di riconfigurazione dei corsi d’acqua. Queste ultime, purtroppo, sono di difficile implementazione per lo scetticismo dei cittadini in molti dei paesi presi in esame dal report, ritenute meno efficaci per la protezione contro le alluvioni.
“Gli Stati membri visitati non sono riusciti a tener conto dell’impatto del cambiamento climatico sull’entità, la frequenza e la localizzazione delle alluvioni. Sono state individuate alcune tendenze, come le piene repentine, ma esse non sono state ancora incluse nei modelli relativi alle alluvioni”, prosegue Owen.
Senza contare che gli obiettivi nei piani di gestione del rischio di alluvioni non sono solitamente quantificati né corredati di un termine. Il piano per le Alpi orientali in Italia, ad esempio, non aveva adattato gli obiettivi della direttiva Alluvioni alla situazione di tale bacino, ma li aveva lasciati in termini generali.
In Italia, tra l’altro, solo l’1 percento circa delle abitazioni ha una polizza assicurativa contro il rischio di alluvioni. Il modello utilizzato maggiormente è quello dell’assicurazione privata non obbligatoria contro le alluvioni, nonostante esistano diversi modelli assicurativi (cogestiti con la partecipazione di enti pubblici o gestiti unicamente da questi ultimi).
Ancora sul nostro Paese: nel nord l’innalzamento del livello del mare non è preso pienamente in considerazione nei modelli utilizzati dalle autorità per determinare i futuri scenari alluvionali.
Essenziale, per la Corte dei Conti, che la Commissione tenga presente il cambiamento climatico in atto, spingendo i Paesi a guardare a nuovi modelli previsionali anziché basarsi sullo studio degli eventi passati, sensibilizzando inoltre l’opinione pubblica in merito ai benefici di una copertura assicurativa contro i rischi di alluvioni e per aumentare la copertura.