Roma – E’ nota come ‘silver economy’, e rappresenta l’insieme delle opportunità e delle attività economiche legate all’invecchiamento della popolazione e ciò che ne deriva, vale a dire la domanda rappresentata dalle esigenze specifiche dei cittadini anziani. Numeri alla mano, è indubbiamente una nuova frontiera di business. Nel 2017 le aziende farmaceutiche di tutto il mondo hanno investito 170 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nel settore di scienze della vita, e “nel periodo 2018-2022 questa spesa dovrebbe arrivare a 1.000 miliardi, un trilioni”, rileva Ugo Di Francesco, amministratore delegato del gruppo Chiesi, tra le multinazionali di riferimento nel settore, in occasione di How can we govern Europe, la due-giorni di riflessione sull’Europa promossa da Eunews.
La silver economy passa per il settore sanità. C’è una richiesta crescente di salute e cure, e le nuove conquiste high-tech giocheranno un ruolo tutt’altro che marginale nel traino dell’economia argentata. “Con la tecnologia stiamo vivendo un nuovo rinascimento mai conosciuto prima d’ora”. Questo, sottolinea Di Francesco, implica che “nei prossimi anni vedremo farmaci nuovi, cure personalizzate, prodotti ad elevato tasso scientifico”. Un esempio? L’anno scorso, spiega alla platea di How can we govern Europe, è stato immesso sul mercato un farmaco con dentro un chip, che una volta ingerito trasmette dati e permette di condurre “monitoraggio terapeutico in remoto”. No, niente fantascienza, realtà che inizia a prendere forma e piede.
Ma l’opportunità racchiude in sé delle sfide. L’allungamento della aspettative di vita e il miglioramento delle condizioni di salute anche in età avanzata impone ripensamenti del modello produttivo e del mercato del lavoro. “Il 65enne di oggi è in salute, non c’è ragione di tenerlo a casa”, taglia corto Carlo Stagnaro, direttore dell’osservatorio sull’economia digitale dell’istituto Bruno Leoni. “La popolazione anziana può avere ancora avere un ruolo nel mercato del lavoro. La scelta dell’abbassamento dell’età pensionabile mi sembra debba essere affrontata in maniera critica”. C’è un problema sociale sullo sfondo. Investire di più sulla forza lavoro già ‘grande’ potrebbe voler dire puntare meno sui giovani. Per Stagnaro ciò si può scongiurare. “Il primo e più importante modo per pensare ai giovani è non ucciderne il salario col cuneo contributivo”. Quindi, detto in altri termini, “il prepensionamento degli anziani è una politica contro i giovani”.
Messaggi alle imprese, messaggi per la politica, che determinate pratiche dovrebbe scoraggiarle e determinate altre dovrebbe invece sostenerle. Ne sono consapevoli i partiti di governo. Celeste D’Arrando, portavoce del movimento 5 Stelle alla Camera. “C’è una valutazione politica e sociale da fare”, riconosce. Carlo Piastra, deputato della Lega e membro della commissione Attività produttiva di Montecitorio. “Se aumenta la quota pensionistica della popolazione, la popolazione attiva deve farsi carico di finanziare il sistema pensionistico”. Eccolo il rompicapo. Mandare più gente in pensione prima vuol dire inserire nel mondo del lavoro più gente. Può funzionare, se si lotta contro il lavoro nero. Non facile.
Il mercato, però, orienta in modo ineludibile la domanda. “L’economia odierna – sottolinea Piastra – è molto più orientata ai servizi, favorendo naturalmente le fasce più anziane della popolazione, la cui domanda di servizi è particolarmente alta”. Il governo è al lavoro, ma per adeguare il settore della sanità alle esigenza della modernità servirà tempo, avverte la pentastellata D’Arrando. “Non si può fare tutto subito, perché dovendo fare un paragone la sanità italiana in questo momento è un po’ come una casa terremotata”. Espressione forte, ma che rende bene l’idea delle cose da fare.
Ma non è questa l’unica sfida della silver economy. C’è un sistema Paese da costruire. “L’Italia può giocare un ruolo da protagonista”, sostiene l’amministratore delegato del gruppo Chiesi. “L’Italia ha una ricerca di base scientifica che è al top, al livello di quella degli Stati Uniti. Ma non si fa sistema, manca il collegamento con il settore industriale per ricollocare tale ricerca sul mercato”. Un problema, questo, tutto ‘made in Italy’.