Bruxelles – La data che potrebbe essere fatale al processo della Brexit è il 15 gennaio. In quel giorno, secondo quanto confermato in Aula da un sottosegretario dopo varie voci di corridoio, i deputati voteranno la proposta di accordo per la separazione messa a punto dal governo di Theresa May e dall’Unione europea. Un testo, è stato ribadito per l’ennesima volta a Bruxelles, oggi dal portavoce del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che “non è negoziabile”, “non è modificabile” ed è “il migliore possibile”. Dunque nessuno spazio per chi, come il leader Laburista Jeremy Corbin, chiede oggi, in realtà polemicamente, a May se ci sono novità “legalmente vincolanti” sul testo dell’accordo dopo l’ultimo Consiglio europeo di dicembre.
Il voto era previsto a dicembre, ma la premier lo rinviò spiegando esplicitamente che altrimenti il governo sarebbe stato “largamente” battuto. Nel frattempo i laburisti ed alcuni conservatori lavorano ad un emendamento alla legge finanziaria che sarà approvata questa settimana per ridurre le possibilità che il governo vada verso una Brexit senza accordo.
May intanto continua la sua battaglia di sponda con l’Ue (sente Juncker al telefono quasi ogni giorno) per cercare di convincere anche i suoi parlamentari che questo è l’accordo migliore e che bocciarlo porterebbe la Gran Bretagna nel baratro. In un articolo pubblicato sul Mail on Sunday la premier ripete ai deputati, la gran parte dei quali è decisamente contraria al testo che sarà votato, come hanno rilevato anche dei sondaggi interni ai Tories, che se bocceranno l’intesa sarà in pericolo la democrazia del regno e lo saranno anche tanti posti di lavoro dei cittadini.
Chi vuol respingere l’accordo “deve rendersi conto che sta facendo correre dei rischi alla nostra democrazia”, scrive la premier, che mette anche in guardia “circa i posti di lavoro su cui i nostri elettori fanno affidamento per portare il cibo in tavola per le loro famiglie”. Dalla drammatizzazione alla retorica May scrive anche che “nei momenti nei quali affrontiamo una grande sfida, troviamo sempre una via da seguire che ottiene fiducia e consenso dell’intera comunità. Questo è uno di quei momenti”.
May, che ancora non ha chiarito le modalità di voto che il governo chiederà ai parlamentari, nel suo intervento nel dibattito che si aprirà mercoledì fornirà ancora chiarimenti su alcuni punti molto delicati, dei quali ha parlato con i partner Ue nel Consiglio europeo di dicembre. Il tema più complesso è sempre quello del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, ma c’è sul tavolo anche la questione del ruolo del Parlamento nei negoziati che si apriranno sulle future relazioni tra Gran Bretagna e Unione europea, dopo la Brexit del 29 marzo prossimo.
In pochi pensano che l’accordo sarà approvato dal Parlamento, almeno per quanto è stato detto e fatto sino ad oggi dai deputati: sono contrari una gran parte dei Tories, lo sono i laburisti e lo sono anche gli alleati irlandesi di governo del Dup. Dunque fioccano le ipotesi e i sondaggi su quel che potrà accadere. May e Corbin sono contrari a un secondo referendum, che sarebbe invece richiesto dalla maggior parte degli elettori della sinistra e, sembra da alcuni sondaggi, anche dalla maggioranza dei cittadini britannici, che pare orientata a cambiare idea sulla separazione dall’Unione.
L’emendamento cui lavorano alcuni laburisti e conservatori insieme sarebbe introdotto nel disegno di legge finanziaria, e tende a impedire che il governo possa introdurre tasse legate alla Brexit se non c’è un accordo di uscita concordato con Bruxelles. Il progetto tende a far sì che queste imposte possano essere introdotte solo se ci sarà un accordo sulla Brexit, oppure una decisione di estendere la durata degli effetti dell’attivazione dell’articolo 50 del Trattato Ue, o un voto del Parlamento che approvi esplicitamente una Brexit senza accordo.