Bruxelles – Oramai l’unica cosa che Theresa May riesce ad ottenere dal Parlamento britannico sono sconfitte. Oggi ha parlato del suo preteso “piano B” per uscire dallo stallo Brexit alla Camera dei comuni, ed ha avuto un tale successo che al primo voto disponibile alla Camera dei Lord è stato votato un emendamento che blocca la legge sul commercio internazionale del dopo Brexit fin quando il governo non farà più chiarezza sui suoi piani per lasciare l’unione europea.
Non è un “piano B” quello che la premier ha presentato durante il suo breve discorso e il lungo dibattito oggi a Westminster, ed a Bruxelles nessuno lo ha preso come tale. Come previsto May ha cercato di convincere i parlamentari, soprattutto i suoi, che terrà in maggior conto la loro posizione in questo processo, che continuerà il dialogo con tutti e chiunque per impostare nuove trattative con Bruxelles, negando comunque sia la volontà di chiedere una proroga del periodo negoziale oltre al 29 marzo, sia di aprire ad un nuovo referendum. Ha ripetuto che la miglior via per evitare il temuto “no deal” sarebbe stata approvare l’accordo fatto con Bruxelles, e la è ancora. Fine del Piano B. Sulla questione irlandese ha detto che insisterà per trovare nuove vie per superare il temuto backstop, ma non ne ha indicata una. Unica novità vera è che dal 29 marzo, data per lei irrinunciabile della separazione dall’Ue qualunque sia il prezzo perché “questo è il mandato che abbiamo dagli elettori”, “sarà abolita la tassa (di 65 sterline, ndr) imposta a chi chiede di avere un permesso fisso di residenza”. Non è un’idea che darà una scossa ai negoziati.
Per quanto riguarda il backstop e tutto il circo di dichiarazioni ed ipotesi che circolano senza che mai esca una proposta formale, May ha smentito le voci che la vedevano pronta a rinegoziare l’accordo del Venerdì santo, “dobbiamo rispettare l’accordo e non lo riapriremo”, ha detto riferendosi direttamente alle indiscrezioni di stampa.
Si è data tre priorità la premier, che se mancassero un paio di anni alla data della separazione potrebbero anche essere utili, ora dopo una serie di sconfitte parlamentari sembrano solo una pietosa richiesta di avere modo di restare in sella: essere più flessibile nei rapporti con il Parlamento, proteggere lavoratori e ambiente, assicurare un confine aperto con l’Irlanda.
Sulla possibilità di una separazione senza accordo la premier in sostanza non si è impegnata ad evitare questa catastrofica possibilità, ma ha solo detto che se si arriverà a una separazione hard la colpa è del Parlamento con non ha approvato l’accordo che lei gli aveva presentato.
Rimanendo nell’ovvio, in quanto il concetto già acquisito dopo quanto detto dalle autorità europee, la May ha rassicurato i suoi parlamentari che nell’accordo politico che dovrà definire i principi del periodo dopo la fase transitoria della separazione (se mai questo periodo ci sarà), “si potranno trovare assicurazioni richieste in questa Camera”.
Nei prossimi giorni la premier ha assicurato che incontrerà leader politici, imprenditori, esponenti della società civile, del mondo dell’economia per discutere su come procedere in questo frangente ed elaborare una proposta.
Da Bruxelles e dalle capitali europee i commenti sono simili: oggi non è successo niente, è ora che la premier faccia qualcosa per evitare il no deal che nessuno vuole, magari cercando di coinvolgere davvero tutti i leader e i partiti. Uno per tutti il capo negoziatore Ue Michel Barnier, secondo il quale “ora tocca ai leader britannici costruire una maggioranza stabile e politica per un accordo. Stiamo aspettando i prossimi passi e siamo pronti a lavorare ancora sulla dichiarazione politica”.