La maratona di Monaco, l’annuale conferenza sulla sicurezza (Munich Security Conference, Msc), che da 55 anni si svolge nel capoluogo bavarese, è, senza alcun dubbio, l’evento di punta per chi si occupa di relazioni internazionali. Quest’anno, è stata una maratona tanto illuminante quanto avvilente. Di ritorno da Monaco, è il caso di rimettere insieme i pezzi, pensando ai principali messaggi emersi.
Europa e America, due visioni del Mondo completamente diverse
Alla conferenza di quest’anno, si è arrivati pensando che la discussione si sarebbe concentrata sul rapporto tra europei e americani. E in effetti così è stato, come ogni anno. Ma in modo diverso da come mi aspettavo.
La spaccatura tra la maggior parte degli europei e l’attuale amministrazione statunitense non è costituita soltanto dai pareri divergenti su commercio, Iran, clima, Siria o Nato. Siamo davanti a due visioni del mondo completamente diverse, soprattutto per quanto riguarda il modo migliore – o forse l’unico – di affrontare con successo le numerose sfide che ci attendono.
La cancelliera tedesca Angela Merkel, probabilmente consapevole che questa sarebbe stata tra le sue ultime, se non l’ultima, conferenza di Monaco, ha dimostrato una passione senza precedenti in difesa di multilateralismo, regole e norme condivise e cooperazione. Non ha vacillato nel suo impegno verso questi principi e non ha usato mezzi termini per spiegare qual è, secondo lei, l’unica strada da percorrere. Ha ricevuto una ‘standing ovation’ da un pubblico che vede ancora in lei il leader più forte e risoluto di un ordine internazionale che, con tutte le sue imperfezioni, ha funzionato per decenni.
Riformare l’ordine internazionale, ma difenderne spirito e principi
Ciò non significa che quest’ordine debba restare immutato. Al contrario, deve essere riformato e trasformato per adattarlo alle mutevoli realtà globali. Ma lo spirito e i principi su cui si fonda devono essere difesi con le unghie e con i denti.
Il contrasto con il vicepresidente statunitense Mike Pence non avrebbe potuto essere più netto. Pence sembrava rivolgersi a un pubblico di una sola persona, che non era nemmeno presente. Non ha risposto a nessuna domanda e ha attaccato proprio quei principi che la cancelliera aveva difeso appassionatamente. Per lui, la cooperazione, se così vogliamo chiamarla, va benissimo finché gli europei (e gli altri) si adeguano alle decisioni degli Stati Uniti.
E così, giusto per citare l’esempio più eclatante, noi europei, in quanto alleati e partner commerciali più stretti degli Usa, dovremmo uscire dall’accordo sul nucleare iraniano. Altrimenti saremo puniti per il rispetto e la difesa di un’intesa multilaterale che Washington stessa aveva firmato e che si dà il caso sia inquadrata nel diritto internazionale… Questa sarebbe cooperazione internazionale?
Abbandonare il multilateralismo senza un’alternativa
Quello che stupisce – e in realtà spaventa – è che gli Usa abbandonano il multilateralismo, a volte (come nel caso del Trattato Inf sui missili nucleari a medio raggio) citando motivazioni cui gli europei non si oppongono (la violazione russa del trattato stesso), ma senza un piano o un accordo alternativo in mente. Il motivo della mancata esistenza di un piano alternativo è che l’Amministrazione americana non dà valore al dialogo, alla cooperazione e al multilateralismo che questo comporterebbe.
Così noi europei – ma lo stesso vale per canadesi, giapponesi e altri ancora – ci ritroviamo scossi, increduli e rattristati: scossi ascoltando Jeichi Yang, membro del Politburo cinese, e Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, che cantano le lodi del multilateralismo e dell’integrazione europea, sapendo bene che ciò che intendono loro con questi termini è molto diverso da ciò che vi vediamo noi europei.
Incredulità e responsabilità
Tutti – o almeno io – siamo increduli nel vedere il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi fingere di essere un grande difensore dei diritti umani, del diritto internazionale e della libertà di religione. E siamo invece rattristati dall’assenza di questi temi nei discorsi dell’Amministrazione statunitense; e per quanto ci piacerebbe credere alle parole rassicuranti dell’ex vicepresidente Joe Biden – “Torneremo” -, in fondo sappiamo, come sa anche lui, che non si può tornare al passato.
Sappiamo che è giunto il momento – in realtà è giunto da tempo – di diventare più responsabili, più creativi e più proiettati al futuro nella nostra leadership. Ma si tratta di un passo avanti psicologico, prima ancora che materiale, molto difficile da fare; e di conseguenza esitiamo. Quando le è stato chiesto quale fosse il suo più grande rimpianto, la cancelliera Merkel ha menzionato la titubanza che la Germania ha tradizionalmente dimostrato quando si trattava di assumere più decisamente la guida del processo di integrazione europea. Berlino, ha detto, reagisce spesso in ritardo.
Lo stesso ragionamento può essere applicato a tutti gli europei e non solo. In effetti, non possiamo più esitare sulla necessità di uscire dal guscio, assumendoci maggiori responsabilità e instaurando rapporti di collaborazione più creativi per garantire che multilateralismo, regole condivise e diritto internazionale rimangano il fulcro della società internazionale nella transizione da un sistema globale al prossimo che verrà.
Leggi la riflessione di Nathalie Tocci sul sito dell’Istituto Affari Internazionali.