Bruxelles – La Brexit è un affare “loose-loose”. Qui nel continente è stato detto e ripetuto fino allo sfinimento, pur se è una verità che sembra confermarsi ogni giorno. Ma non per tutti. C’è qualcuno che anche a motivo della Brexit, ed in particolare per i negoziati di questo biennio, potrebbe essere un winner: Michel Barnier, il capo negoziatore europeo, il cui nome è da qualche settimana sulla bocca di tutti come più probabile successore a Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione europea.
Ci sono molti fattori che giocano a suo favore, tra i quali anche il bilanciamento tra grandi e piccoli paesi, e ad oggi sono 15 anni che il presidente dell’esecutivo comunitario è un rappresentante di un piccolo paese, prima il Portogallo, per dieci anni, ed ora il Lussemburgo. Quindici anni fa fu Romani Prodi l’ultimo presidente che veniva da un grande paese.
Ci sono però ragioni molto più consistenti. Bisogna trovare una persona di statura per guidare l’esecutivo comunitario in una fase che sarà molto complessa, non solo per il lavoro che resterà da terminare sul fronte economico e finanziario, ma per la minore compattezza che si avrà nel Parlamento europeo, dove è atteso un forte aumento dei deputati euroscettici. Non così forte da rivoluzionare gli equilibri, ma abbastanza da creare la necessità di una guida forte del’Unione.
Finché le scelte dei cittadini europei non si saranno espresse è meglio essere prudenti ed usare tutti i condizionali possibili, però è ragionevole pensare che anche questa volta un popolare potrebbe ottenere la poltrona più alta di Bruxelles, dato che il PPE dovrebbe restare il primo partito europeo, ma non è detto che i popolari, indeboliti nelle urne, abbiano la forza di imporre il loro candidato.
E quasi nessuno a Bruxelles crede davvero Mafred Weber sia la persona adatta. Il capogruppo popolare in Parlamento semplicemente non ha il curriculum, anche se è stato indicato dal congresso del suo partito come candidato alla presidenza della Commissione. Non è mai stato ministro, non è mai stato membro della Commissione, è insomma almeno due o tre passi indietro, come statura politica, rispetto alle persone con le quali dovrebbe avere a che fare.
Barnier aveva pensato di correre anche lui al congresso del PPE, ma poi si era ritirato, spiegando che aveva una priorità da risolvere con la Brexit e non poteva distrarsi. Aveva ragione nel merito, e nella sostanza ha guadagnato molto credito tra i leader europei, che sembra siano tutti molto soddisfatti di come l’ex ministro francese li ha, qualcuno dice “guidati”, in questi frangenti complicati, evitando rotture dei una preziosa unità.
Ministro dell’Agricoltura, commissario europeo al Mercato interno e soprattutto carta da giocare per Emmanuel Macron, che con Barnier potrebbe piazzare un francese che conosce a menadito il suo paese e l’Europa alla guida della Commissione.
Certo, va detto che nonostante le indiscutibili qualità e capacità del sessantottenne Barnier, scegliere lui non sarebbe una ondata di rinnovamento per l’Unione, e dunque andrebbe fatto un grande sforzo perché l’UE non si chiuda in se stessa cavalcando cavalli sì di razza ma forse non più adatti ai nuovi terreni da percorrere.
Il francese ovviamente sa di essere al centro del dibattito, e a febbraio in un’intervista a Franceinfo ha indicato una coalizione parlamentare che troverebbe congeniale: “[Il PPE] ha sempre lavorato con gli altri e questa volta sarà un obbligo, che il centro-destra, il Partito Socialista, i liberali, la grande nuova famiglia centrista alla quale senza dubbio appartiene il partito En Marche, e senza dubbio anche i Verdi, lavorino insieme per cambiare ciò che deve essere cambiato e mantenere ciò che deve essere mantenuto a livello europeo”. Un progetto molto più “europeista” di quello di Weber, che guarda volentieri a destra.