Bruxelles – Una bella vetrina, una vistosa passerella, e niente di più. Nell’Aula del Parlamento europeo tirata a lucido per la bella occasione, di bello si è sentito poco. Il dibattito tra i candidati alla presidenza della prossima Commissione europea (Spitzenkandidaten, come si definiscono nel gergo bruxellese) lascia molti interrogativi, uno su tutti: qual è il programma dei vari partiti? La domanda non trova risposta perché non si è capito. Colpa di personaggi in grado di fornire risposte vaghe, evasive, per nulla concrete.
Passi il delicato tema dell’immigrazione, dove il prossimo presidente dell’esecutivo comunitario, chiunque esso sia, potrà poco. Se i governi nazionali non vogliono cambiare la legislazione europea in materia ci sarà poco da fare. L’unico che sembra averlo capito è Jan Zahradil, candidato dei conservatori (ECR). Ben inteso: lui viene da un Paese non certo tra i più euro-convinti (Repubblica ceca) ed è il rappresentante delle forze euro-scettiche. Però ha ragione da vendere quando promette solennemente di “non voler ripetere l’errore commesso dalla Commissione uscente di proporre quote di migranti, che hanno solo diviso ancora di più l’Europa”. Il problema, come spesso accade con gli euro-scettici, è che non si capisce cosa farà. Ha spiegato cosa non farà, ma non cosa intende fare.
Ska Keller (Verdi), Frans Timmermans (Socialdemocratici, S&D), Manfred Weber (popolari, PPE, quello che ricevuto più attacchi un po’ da tutti), Margrethe Vestager (Liberali, ALDE) e Nico Cue (Sinistra unitaria, GUE) dicono che serve una soluzione europea. Ma non spiegano come intendono trovarla. E forse meglio non esporsi, per evitare le critiche di chi, sempre più numeroso, di migranti in questa Europa proprio non vuole sentirne parlare.
Timmermans prova a lanciare una maggioranza di centro sinistra, che però, stando ai sondaggi probabilmente non avrebbe una maggioranza. “La mia offerta è di lavorare insieme nei prossimi cinque anni – ha detto – in modo che ci assicuriamo che la prossima Commissione ponga la crisi climatica al primo posto nella sua agenda e sono sicuro che riusciremo a convincere molte, molte persone della famiglia liberale, così da creare un’alleanza che va da Tspiras a Macron”.
Sul clima qualche proposta concreta c’è. Timmermans però rispolvera l’idea di una tassa per chi inquina. La chiama “tassa sulla CO2”, che richiama l’idea della ‘carbon tax’ voluta in Francia dal presidente socialista François Hollande, ma che ha incontrato le proteste dei francesi. Tanto che l’attuale presidente, Emmanule Macron, l’ha ridotta sulla scia delle proteste dei gilet gialli. La leader dei verdi propone un taglio ai sussidi per imprese e programmi industriali più inquinanti, e si ferma lì. La candidata dell’ALDE lascia intendere di avere in mente un programma economico orientato alla green-economy. “I cambiamenti climatici vanno considerati come un’opportunità per creare lavoro e sviluppare tecnologie di cui già disponiamo”. Non entra nel dettaglio, e si limita a degli indizi. Il rappresentante dell’Europa delle nazioni offre un ‘no’. “Non introdurrò alcuna tassa pan-europea, la politica fiscale compete agli Stati”, taglia corto Zahradil.
Il massimo della rivoluzione prospettata ai giovani è l’estensione del programma di mobilità studentesca Erasmus+ agli studenti non universitari. Una proposta, quella di Timmermans, che non risponde al problema della disoccupazione giovanile. Ma a onor del vero i suoi sfidanti non offrono di meglio. Nessuno che metta sul tavolo strategie vere per il mercato del lavoro, materia che comunque ricade nella sfera di competenze nazionali.
Weber arriva a smarcarsi dalle accuse di esponente del partito dell’austerità accusando i membri socialdemocratici in Commissione (Pierre moscovici, commissario agli Affari europei) e in seno all’Eurogruppo (Antonio Costa e Jeroen Dijsselbloem, presidente corrente e suo predecessore), di aver avallato ricette rigoriste. Peccato che in Europa le decisioni siano collegiali e non individuali. Ma in assenza di contenuti, la strategia non può che essere quella di accusa l’altro.
Il punto di maggior vacuità si raggiunge sulle relazioni tra UE e Stati Uniti. Nessuno sa dire cosa ha in mente per tenere testa all’amministrazione Trump e non piegarsi alle politiche del partner non più partner come un tempo. Weber professa la fede nella dottrina atlantica, limitandosi ad assicurare gli europei che “gli americani restano nostri amici”. Timmermans invoca l’unità e se la prenda con chi, nell’UE, ammicca alla Russia e alla Cina. Critiche all’Italia, per chi non le avesse colte. Ska Keller è ferma e decisa sugli ogm. “No” all’importazione dei prodotti transgenici a stelle e strisce per compiacere Trump. Poi però manca il resto della strategia.
L’unica cosa interessante, per chi non conosceva il personaggio, la storia personale del candidato della GUE, Nico Cue, raccontata da lui stesso nella sua breve presentazione al pubblico. Figlio di un minatore, che è scappato dalla Spagna di Francisco Franco con la famiglia. E’ entrato in Belgio da irregolare, senza documenti. Ciò nonostante trovò lavoro in una miniera nei pressi di Liegi. Lui raggiunge il padre dopo un anno. La storia di Cue può essere vista come un inno alla democrazia e un invito a non temere gli immigrati irregolari.
Insomma, chi si aspettava un duello a colpi di programma è rimasto deluso. Timmermans ha rivolto un accorato appello ai cittadini per venire a votare. Ma viene da chiedersi per chi, e per cosa. Il tanto annunciato dibattito tra i candidati è stato deludente, e rischia di tramutarsi in un boomerang. Alla fine lo spettacolo offerto è quasi un invito a non andare alle urne.