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Home » Politica » Johnson continua a perdere: ora (quasi) c’è la norma anti no deal, e riaffiora “l’accordo May”

Johnson continua a perdere: ora (quasi) c’è la norma anti no deal, e riaffiora “l’accordo May”

Situazione intricatissima, anche le elezioni anticipate che il premier ha richiesto sono state respinte dal Labour, che pure le vuole da tempo. Seduta fiume dai Lord per confermare il "no" al non accordo Brexit

Lena Pavese di Lena Pavese
4 Settembre 2019
in Politica
Theresa May a Westminster quando era primo ministro

Theresa May a Westminster quando era primo ministro

Bruxelles – Il premier britannico Boris Johnson continua a collezionare sconfitte parlamentari. Questa sera la Camera dei Comuni ha approvato la legge anti-no deal Brexit promossa dalle opposizioni con la quale si tenta di fatto di impedire un’uscita dall’Unione europea senza che sia stato approvato un accordo. Lo scopo più immediato è quello di impedire quella no deal Brexit che Johnson si era detto determinato a perseguire alla scadenza del 31 ottobre. A favore della norma hanno votato 327 deputati, contro 299. Ora tocca ai Lord di approvare la legge, in una seduta fiume, con sessione notturna, per terminare i lavori entro domani, quando scatterà la chiusura del Parlamento imposta dal premier.

I deputati ieri sera hanno poi bocciato anche la richiesta di elezioni anticipate, proposte come reazione al voto anti no deal da Johnson.

Tornando al primo voto, il problema della  data di separazione è però che nessun rinvio è possibile senza un accordo con il Consiglio europeo, e, prima ancora, una richiesta del governo britannico a Bruxelles in questo senso.

E qui si complica tutto. Johnson questa sera ha presentato l’annunciata mozione che chiede lo scioglimento della Camera e elezioni anticipate il 15 ottobre (un martedì, tanto per rompere la secolare tradizione del voto il giovedì). “Il Paese deve decidere se io o il leader dell’opposizione dobbiamo andare a Bruxelles a negoziare per la Brexit. Non voglio elezioni, i cittadini non vogliono elezioni, ma questa Camera non ha lasciato altre opzioni”, ha detto Johnson aprendo il dibattito  sulla mozione, che però necessita di un quorum di due terzi. E qui si complica tutto, perché una soluzione per il rinvio della separazione sarebbe che ci sia un premier diverso da Johnson, come Jeremy Corbyn, che da tempo chiede le elezioni anticipate e sostiene la necessità di trovare un accordo con Bruxelles.

La complicata legge britannica però prevede che se anche il Parlamento approva una mozione che fissa il voto al 15 ottobre, dunque in tempo per avere un nuovo premier e chiedere a Bruxelles un rinvio, il premier dimissionario possa, a sua discrezione, cambiare la data. Visto che Johnson è uno che chiude il parlamento senza farsi troppi problemi, il terrore dei laburisti è che dopo aver incassato lo scioglimento della Camera dei Comuni, il premier uscente sposti poi il voto ad una data che renda impossibile rinviare la scadenza del 31 ottobre.

Corbyn ha espresso queste preoccupazioni, dicendo che prima di accettare la mozione vuole una garanzia che Johnson non sposti il voto oltre il 15 ottobre. E quindi è stata respinta.

Dunque, di fatto, in questo momento c’è una situazione di teso confronto, con la spada di Damocle di una sessione parlamentare che dovrà terminare l’otto settembre, per riprendere solo il 14 ottobre, troppo tardi per chiamare elezioni prima del 31. Dunque se i labour non appoggiano il voto anticipato è certo che non si va a votare e che la Brexit sarà il 31 ottobre quasi certamente senza nessun nuovo accordo, a meno che Bruxelles all’ultimo non decida di cedere alle richieste, ancora per altro non formalizzate, di Johnson pur di evitare una separazione drammatica e disordinata. Per questo si sta facendo strada tra le opposizioni l’idea di approvare l’accordo siglato da Theresa May lo scorso anno, per avere almeno la certezza che un’intesa con l’Unione, anche se non molto gradita, c’è. Ma per molti sarebbe il male minore.

Tags: accordobrexitelezioni anticipateRegno Unito

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