Bruxelles – Poche risorse, nessuna normativa. Tra ristrettezze economiche e titubanze politiche l’Europa sta perdendo la gara dell’innovazione. Asia e Nord America stanno investendo massicciamente nei settori di robotica e intelligenze artificiali, mentre l’Unione europea, che pure cerca di imporsi un cambio di passo con la comunicazione della Commissione UE, rimane indietro per l’incapacità di imprimere una vera e propria svolta nel settore.
L’analisi realizzata dal centro studi del Parlamento europeo sui ‘costi della non Europa nella robotica e nell’intelligenza artificiale’ offre un quadro orientativo della situazione, da cui emerge un dato certo: l’Europa rischia di rimanere schiacciata dalla concorrenza cino-americana.
Gli investimenti pubblici sono pochi. L’UE attraverso il bilancio comunitario ha sin qui finanziato la formazione. Con i fondi strutturali e di investimento europei, 27 miliardi di euro vengono investiti nello sviluppo di competenze, e di queste risorse 2,3 miliardi di euro sono destinanti specificamente alle competenze digitali. Ma per l’intero periodo 2014-2020 l’UE ha previsto una spesa di 700 milioni di euro per le industrie del settore. La Corea del Sud da sola ha investito 840 milioni di dollari per il trienno 2016-2018, alla fine del quale ha annunciato un nuovo stanziamento di fondi pari al doppio (1,7 miliardi di dollari circa).
Ancora, i dati disponibili che nell’area dell’UE gli investimenti privati nelle intelligenze artificiali hanno oscillato tra i 2,4 miliardi di euro e i 3,2 miliardi di euro, un terzo in meno di quelli dell’Asia (6,5- 9,7 miliardi di euro) e quasi un sesto in meno di quelli di Stati Uniti e Canada (12,1 – 18,6 miliardi di euro). L’Europa non sa attrarre investimenti in un settore considerato sempre più strategico.
“Ci sono notevoli aspettative di crescita del mercato”, rileva il documento redatto dal Parlamento europeo. Si stima che i ricavi del mercato globale della robotica e dell’intelligenza artificiale raggiungeranno i 38 miliardi di dollari entro il 2022, più di 5 volte la sua dimensione attuale (il mercato globale per il settore in questione è stato calcolato in circa 7,35 miliardi di dollari per il 2018). Solo per dare un esempio, Accenture prevede un incremento dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella settore della sanità tale da produrre un volume d’affari di 6,6 miliardi di dollari entro il 2021, con un tasso di crescita annuale medio del 40%. Solo negli Stati Uniti questi tipi di tecnologie permetteranno opportunità di risparmio nel settore per 150 miliardi di dollari entro il 2026.
Il problema dell’Europa è un ritardo normativo. Pesa, nell’UE, “l’attuale mancanza di un quadro normativo specifico”, e in assenza di tale regole tendono ad essere estese anche ai nuovi settori economico-industriali normative ‘datate’. Si attua, in particolare, la direttiva sulle responsibilità per i prodotti, un testo che stabilisce il principio della responsabilità indipendentemente dalla colpa, applicabile ai produttori europei. In pratica se un prodotto difettoso provoca danni al consumatore, il produttore può essere responsabile anche senza negligenza o colpa da parte sua.
Una normativa del 1985, e in vigore dal 1988. Non solo ci sono Stati che continuano ad attuare le normative nazionali. E’ il caso dell’Italia, si fa riferimento ai principi di responsabilità stabiliti dal Codice Civile e dal Codice dei consumatori previsti dal Decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206. Le imprese, in sostanza, fanno fatica a capire come muoversi e i privati, per quanto interessati ad un settore che rappresenta una delle nuove frontiere di business, restano col freno a mano tirato. Un intervento normativo deciso sarebbre “in grado di fornire una maggiore certezza del diritto e promuovere la fiducia”.
La Commissione europea ha prodotto a dicembre 2018 una comunicazione in cui ha indicato degli obiettivi su cui lavorare. Ai governi degli Stati membri si chiede di far sì che investimenti pubblici e privati nell’intelligenza artificiale raggiungano i 20 miliardi all’anno nel prossimo decennio. Il team Juncker ha deciso di dare l’esempio aumentando la spesa per il comparto a 1,5 miliardi di euro nel periodo 2018-2020, e proponendo di investire almeno 1 miliardi di euro l’anno tra il 2021 e il 2027 attraverso il prossimo bilancio pluriennale, ancora nel pieno dei negoziati. Sono però azioni, che per quanto indispensabili, non risolvono il problema di base.
Va però creato un tessuto regolatorio uguale per tutti, con regole certe e adeguate ai tempi. Attenzione, però. E’ vero che da una parte un quadro normativo UE armonizzato porterebbe a una maggiore attività di ricerca e sviluppo da parte dei produttori, provocando un possibile impatto positivo in termini di PIL e sul commercio netto extra dell’UE. Tuttavia, rilevano gli analisti del Parlamento europeo “l’impatto quantitativo sull’economia dell’UE della regolamentazione armonizzata nei mercati considerati è altamente incerto, con alcuni fattori che forniscono un effetto positivo e altri un aspetto negativo”.
Complessivamente, gli scenari di analisi hanno mostrato che, in presenza di una regolamentazione armonizzata, si registra “un aumento della competitività commerciale per l’UE-27, un piccolo aumento del PIL e dell’occupazione attraverso maggiori sforzi di ricerca e sviluppo”. Si stima che entro il 2030, il PIL dell’UE potrebbe essere superiore dello 0,04% rispetto a quanto sarebbe altrimenti nel quadro normativo attuale.
A questo però si accompagna “un lieve calo del PIL e dell’occupazione quando si tiene conto degli impatti economici più ampi della robotica e dell’intelligenza artificiale”. Le macchine sostituiscono gli uomini, che senza più un lavoro non possono spendere e contribuire ai consumi interni deprimendoli. Servirà dunque un’azione politica volta a compensare le inevitabili perdite provocate dal progresso. Ma l’Europa è indietro anche su questo, visto che le leggi in materia di politica del lavoro restano di competenza nazionale, e dunque sottratte all’iniziativa legislativa della Commissione UE.