Bruxelles – Se Boris Johnson, che ieri, per la prima volta da quando è premier, ha vinto un voto parlamentare (un questione di qualità dell’aria) davvero è pronto a cedere a quello cui la sua predecessora Theresa May disse nessun primo ministro avrebbe ceduto, forse davvero oggi si potrebbe avere la notizia che una accordo è fatto, e che si eviterà una disastrosa “no deal” Brexit. Con un’Irlanda de jure in Gran Bretagna ma de facto nell’Unione europea.
In una piovosa Città del Lussemburgo ed in un’altrettanto umida Bruxelles, ieri il clima dentro i palazzi tendeva invece al bello, perché si erano poste le basi per arrivare ad un accordo, in discussioni “sempre più difficili”, come ha riferito con prudenza il capo negoziatore UE Michel Barnier ma che pure, secondo tanti, mettono nelle condizioni di portare alla definizione di un accordo entro questa settimana.
La prima tappa prevista era la mezzanotte tra ieri e oggi, poi estesa all’ora di pranzo, dove con l’aiuto di qualche caffè e di un po’ di te, in misure controllate per non diventare troppo nervosi, i negoziatori “tecnici” delle due parti dovrebbero essere riusciti a trovare un insieme di regole accettabili per tutti su come gestire il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, unica frontiera fisica che resterà tra UE e UK dopo la separazione. Frontiera non facile, sulla quale passa anche l’Accordo del Venerdì Santo che pose termine alla guerriglia che tanti morti ha causato in quelle terre, e del quale l’Unione europea è uno dei garanti.
Per oggi alle 19.00 (rinviata dopo una prima convocazione alle 14.00 e una seconda alle 17.00) è attesa la comunicazione da Barnier ai 27 se questo lavoro notturno è stato proficuo. In caso positivo la tappa successiva è il Consiglio europeo di domani, nel quale i capi di Stato e di governo dovranno discutere “brevemente, senza fare nottate”, come hanno detto gli uomini del presidente francese Emmanuel Macron che ieri ha sentito Johnson, se l’accordo va nel senso giusto o meno, senza scendere nei dettagli tecnici. Poi ci vorranno ancora dei passaggi, come quello nel Parlamento britannico e in quello europeo. Tutti questi attori sono protagonisti, tutti hanno una cosa da dire, tutti possono far deragliare l’intesa. Dunque ci vuole molta “pazienza” come ha detto Barnier, ed è possibile anche uno slittamento puramente tecnico di un paio di mesi della data di separazione, ora fissata al 31 ottobre, dovuto al fatto che assolvere tutte le procedure e mettere in piedi tutte le misure previste da un accordo scritto su circa 600 pagine non lo si può fare dalla notte alla mattina.
Al Justus Lipsius, la sede del Consiglio europeo, intanto sono state opzionate le date del 27 e anche del 28 ottobre per tenere un eventuale vertice straordinario nel caso invece le cose non vadano come si spera e sia necessario un tempo supplementare. Perché una cosa è chiara: tutti vogliono evitare una separazione senza accordo, dunque si sfrutterà ogni minuto per evitare il fallimento dei negoziati, che sarebbe un disastro per Londra, ma anche una preoccupazione per l’Europa, che, come ha sottolineato la cancelliera Angela Merkel, si troverebbe con un concorrente commerciale in più a un passo da casa.
I termini del negoziato non sono noti nei dettagli, nessun documento è circolato, ma in sostanza Barnier sta proponendo a Johnson di accettare che l’Irlanda del Nord, come il resto della Gran Bretagna, sia fuori dal territorio doganale dell’Unione, ma le regole dell’UE si dovrebbero applicare a metà strada, nel Mare d’Irlanda (che poi, ovviamente non sarebbe davvero in mezzo al mare). Quindi le merci circolanti nel Nord dell’Isola e destinate all’export nell’UE sarebbero “di fatto” merci che rispettano le regole europee. Nella notte poi si è aggiunto il problema dell’IVA, che sarà diversa in Gran Bretagna e nell’Unione europea, e che va gestito per non creare disparità nei trattamenti.