Roma – La famiglia Peugeot ha detto sì agli Agnelli. La fusione tra le due case automobilistiche presentata un mese e mezzo fa, è stata approvata ieri dai due azionisti di riferimento, e poi dai rispettivi consigli d’amministrazione di PSA e FCA. Subito dopo la firma del memorandum a cui avevano lavorato gli staff legali e finanziari nelle ultime settimane. Oggi l’annuncio ufficiale e la conferenza stampa congiunta che ha confermato gli accordi secondo cui il presidente sarà John Elkann e il CEO Carlos Tavares. Il processo di fusione che consentirà la nascita del quarto gruppo mondiale del settore, il terzo per fatturato e 8,7 milioni di auto, vede la partecipazione dei due soggetti al 50 % del capitale azionario. Nel consiglio d’amministrazione entreranno una maggioranza di consiglieri indipendenti con la novità dei due rappresentanti dei lavoratori di FCA e PSA. La nuova società avrà sede in Olanda.
L’ accordo è stato commentato positivamente dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che lo considera un “passaggio fondamentale nel consolidamento del mercato dell’auto, grazie al quale il nuovo gruppo, che avrà una forte componente italiana, potrà affrontare in una posizione di leadership la transizione verso un modello di produzione orientato all’innovazione e alla mobilità sostenibile”. Un traguardo importante “per la filiera italiana dell’auto che occupa un numero significativo di lavoratori qualificati, e costituisce un volano di investimenti, di ricerca e di innovazione”. Il governo italiano esprime anche “apprezzamento per l’innovazione di governance che riguarda la rappresentanza dei lavoratori nel Consiglio di amministrazione”.
Dopo la fusione la palla passerà all’antitrust dell’Unione europea che sta monitorando tutte le operazioni preliminari alla fusione (in particolare sulle consociate della componentistica) anche se non ha ancora aperto un dossier vero e proprio. Su altri fronti, la commissaria alla Concorrenza e vicepresidente esecutivo dell’UE Margrethe Vestager, comincia la nuova legislatura con altri dossier industriali aperti, uno dei quali interessa l’Italia con l’acquisizione da parte di Fincantieri della francese STX (Chantiers de l’atlantique). Operazione partita nel maggio 2017 e che dopo un faticoso negoziato tra i governi italiano e francese, fu siglata nel 2018. Da allora però ha subito numerosi rinvii da parte di Bruxelles fino ad arrivare nell’ottobre scorso a un’apertura formale d’indagine, avviata su richiesta francese e dalla Germania (dove hanno sede i cantieri di Meyer Werft, concorrente diretto nella crocieristica).
Fascicolo che indica possibili limiti alla concorrenza in violazione delle regole comunitarie e con l’eventualità di un duopolio nel settore. Una delle motivazioni (non ufficiali e non è noto se suggerite dai ricorrenti o dagli uffici della Dg competition) è che i prezzi delle crociere potrebbero aumentare a scapito dei consumatori. Un effetto che fa abbastanza sorridere, vista l’ampiezza d’azione e i volumi della cantieristica che non è solo civile e di cui il tempo libero è solo una parte. Lasciando fuori queste ragioni, rimane che l’operazione è in piedi da tre anni, da dopo il fallimento della società coreana da cui dipendevano i cantieri di Saint Nazaire, rilevati dal gruppo italiano.
E se Fincantieri dovrà attendere marzo 2020 per sapere se l’operazione di acquisizione avrà il via libera di Bruxelles, nel frattempo a Pechino è nata China Shipbuilding Group, dall’aggregazione delle due corporation navalmeccaniche pubbliche, ovvero il più grande gruppo al mondo della cantieristica. Un colosso da 100 miliardi di dollari e 310 mila dipendenti, con oltre un centinaio di centri di ricerca e imprese collegate. Basterebbe questo per capire che i tempi delle decisioni dell’UE, così come il merito, non consentono a nessun gruppo industriale comunitario di competere con i colossi dell’economia globale.
In più occasioni è stato segnalato che la politica europea della concorrenza è stata finora rivolta al mercato interno in maniera forse eccessiva e che la tutela dei consumatori non riguarda necessariamente ogni ambito economico. Rilievi che erano stati sollevati anche nel febbraio scorso quando Margrethe Vestager bloccò la fusione Siemens-Alstom, società leader nel comparto ferroviario. Anche in quel caso a festeggiare dello stop, era un concorrente cinese, alimentando polemiche da parte francese e tedesca sui limiti imposti dalle regole UE. Con la legislatura appena cominciata si ripropone il tema dell’equilibrio tra protezione e libera concorrenza, in un contesto in cui gli unici a sbandierare i principi del ‘free trade’ abitano solo a Bruxelles. Forse, senza sconfinare nei nazionalismi, si può cominciare a essere meno ingenui con Usa, Cina e Russia che non perdono occasione per destabilizzare l’Europa.