Bruxelles – L’Italia ha compiuto progressi rilevanti nella lotta all’evasione fiscale, grazie alle misure che incentivano i pagamenti elettronici e scoraggiano la pratica delle omesse fatturazioni, ma su tutto il resto è in ritardo. Le riforme procedono a ritmi lenti, e una situazione economica debole che non impedisce la riduzione del debito troppo alto lasciano il Paese sotto osservazione della Commissione europea.
Il rapporto per Paese che produce l’UE annualmente, ancora una volta certifica i ritardi italiani. La situazione non è cambiata rispetto a un anno fa, e neppure rispetto a due, tre anni fa. Si chiedeva all’Italia di migliorare la concorrenza del proprio mercato e di attuare le scorse riforme pensioni, ma è stato fatto poco o nulla. “Nessun progresso” è stato fatto nell’ultimo anno per affrontare le restrizioni alla concorrenza, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e nei servizi alle imprese. “Nessun progresso” viene rilevato poi sul fronte pensionistico, per “non aver attuato in pieno le passate riforme” in materia. Una sottolineatura che premia la riforma Fornero e boccia la “quota cento” (62 anni di età e almeno 38 anni di contributi) voluta fortemente dalla Lega.
Ma preoccupa la riforma del mercato del lavoro. “Nelle competenze digitali, le grandi economie come la Francia e l’Italia non stanno migliorando al ritmo richiesto dai cambiamenti tecnologici”, rileva la Commissione europea nella sua analisi. Vuol dire che l’Italia farà fatica a essere competitiva, in un contesto economico debole. Bruxelles denuncia la crescita anemica, a cui si accompagna un debito ancora troppo alto.
Proprio per questo l’Italia rimane tra i Paesi con squilibri eccessivi, assieme a Cipro e Grecia. “Ci sono progressi, ma permane l’eredità di problemi passati”, sintetizza il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. A Bruxelles non nascondono che “restano preoccupazioni, in particolare per quei Paesi con elevato debito”. In generale si teme che non ci siano le capacità di accantonare risorse cuscinetto necessarie per affrontare eventuali turbolenze. E poi, si contesta il fatto che in Italia il rapporto debito/Pil “è ancora in aumento” nonostante le regole impongano di ridurre, anche se i piani del governo si ritiene che “stiano diventando più compatibili con la riduzione del debito”.
Una novità giudicata positivamente a Bruxelles è la recente riforma della giustizia. Pur continuando ad avere i tempi più lunghi d’Europa per una sentenza, “è benvenuta” la norma che interrompe l’istituto della prescrizione dopo una sentenza di primo grado entrata in vigore a gennaio di quest’anno, anche perché risponde ad una raccomandazione per Paese “di lunga data”.
Intanto il divario nord-sud aumenta ancora. In un anno, le disparità regionali in Italia sono cresciute ancora. Il rapporto per Paese pubblicato dall’esecutivo comunitario non dà scampo: “Il divario si allarga”.
Una prima analisi generale contenuta nel rapporto UE, evidenzia che la ripresa parziale del triennio 2015-2017 “non ha ridotto l’elevato livello di disparità regionali”. Successivamente, nel 2018 la crescita è stata lenta e le disparità regionali tra le regioni settentrionali e meridionali “si sono nuovamente ampliate”. Di conseguenza, le regioni meridionali continuano a rimanere sostanzialmente indietro, sempre di più, con il resto del Paese e con il resto d’Europa. Anche perché le amministrazioni, centrale e locali, non sembrano essere molto propositive.
Negli ultimi dieci anni è mancata la spesa pubblica. Tra il 2008 e il 2018, si scrive nel documento dell’esecutivo comunitario, la spesa pubblica è aumentata nel Centro-Nord (+1,4%) ed è “diminuita in modo significativo” al Sud (-8,6%). Solo tra il 2017 e il 2018 gli investimenti pubblici sono diminuiti di 0,8 punti percentuali, scendendo dal 2,9% del Pil al 2,1% del Pil, “principalmente a causa di una diminuzione degli investimenti a livello locale, in particolare nelle regioni meno sviluppate”. Naturale, dunque, che il divario invece di ridursi cresca.
A Bruxelles rilevano che il problema dell’Italia è lo stesso da anni. I generosi contributi comunitari (Italia secondo Paese per fondi di coesione tra il 2014 e il 2020) non sono accompagnati da sforzi nazionali. Si ritiene che le autorità nazionali abbiano ormai sposato la linea linea per cui è la sola Europa a farsi carico del sud. E poi, si fa notare in Commissione, il piano nazionale ‘Impresa 4.0’ è aperto a tutte le regioni, ma le regioni del Mezzogiorno “ne beneficiano meno”, e tutto per scarsa qualità della politica locale.