Bruxelles – Napoli e Palermo, modelli da non prendere come esempio. In fatto di mobilità urbana, le due città italiane hanno ancora tanta strada da fare. Flotte vecchie, reti congestionate, piani di mobilità vaghi, gare d’appalto bandite in ritardo. La valutazione della Corte dei conti europea sui due capoluoghi del sud mette a nudo le criticità di due città, che pure nel corso degli ultimi decenni tanto hanno ricevuto grazie ai fondi europei.
Sono otto le città oggetto di sopralluoghi e verifiche in quattro diversi Stati membri dell’UE. Per l’Italia tutto si è concentrato a Napoli e Palermo, poiché ritenute le più problematiche. Come spiega la stessa istituzione comunitaria, queste città sono state selezionate in base ad una serie di criteri, tra cui i livelli di congestione e la popolazione. L’esito è che le criticità di partenza non sembrano superate.
Si investe poco in autobus
Il primo dato che salta agli occhi è l’assenza di investimenti nei mezzi di trasporto. Mancano soldi. “La scarsa disponibilità di fondi si riflette sull’età dei veicoli della flotta”. A Palermo gli autobus risultavano avere un’età media di 10 anni e 3 mesi nel 2013, salita a 12 anni e 4 mesi nel 2018. Analoga situazione a Napoli, dove i bus hanno visto aumentare la loro età media da 12 anni e un mese a 13 anni e 4 mesi. Nel quinquennio di riferimento (2013-2018), dunque, si è fatto poco per svecchiare la flotta. Un problema, visto che l’Italia ha procedure di infrazione aperte per il mancato rispetto della direttiva sulla qualità dell’aria. Mezzi più vecchi sono sinonimo di maggiore inquinamento.
Non solo. Autobus più vecchi equivale a più manutenzione. A Napoli, rileva lo studio, i problemi di affidabilità facevano sì che “meno del 65% dei veicoli fosse disponibile per l’uso quotidiano”. Leggermente migliore la situazione a Palermo, dove il 71% della flotta di autobus, con una età media di oltre 12 anni, era disponibile quotidianamente. Nel capoluogo siciliano 3 bus su 10 erano fermi al deposito per manutenzione invece che circolare.
Pasticci all’italiana
Si è investito su altro. La priorità non è ricaduta sui mezzi, ma si sa, le scelte sono politiche. Peccato che laddove sia sia intervenuto, si sia intervenuto male e con superficialità. Un esempio? A Palermo il piano strategico sulla mobilità sostenibile prevedeva interventi a breve, medio e lungo termine ed includeva un calendario per i lavori e i costi previsti. Indicava inoltre una scala di priorità per il medio-breve e il medio-lungo periodo, “basata essenzialmente sulle esigenze economiche”. Insomma, si lavorava già sapendo di poter essere poco ambiziosi. Vero è che, rileva la Corte dei conti, la linea di tram a Palermo era stata progettata, sin dall’inizio, in modo tale da essere dipendente da altri progetti di trasporto gestiti da altri operatori. “Il progetto era quindi esposto al rischio di ritardi nell’attuazione degli altri progetti, come è poi avvenuto”. Inoltre l’efficacia del progetto “è stata limitata” dalla mancata introduzione di un sistema tariffario integrato che coinvolgesse i diversi operatori, per cui i passeggeri dovevano acquistare più biglietti per raggiungere il centro della città con il tram.
Che dire di Napoli? Nel capoluogo campano “il piano strategico era basato su piani settoriali obsoleti e non era accompagnato da un piano di attuazione né specificava quale sarebbe stato l’ordine di priorità delle diverse azioni”. Ancora, nel caso dell’estensione della linea della metropolitana a Napoli, le autorità locali “non hanno indetto per tempo gli appalti per i nuovi treni della metropolitana”. Di conseguenza, lo stesso numero di treni si è trovato a dover servire una linea più lunga, con conseguente riduzione della frequenza e del livello dei servizi. Una bocciatura delle amministrazioni locali e del sistema Paese, dunque. Una delle cose che da anni si rimprovera all’Italia è la liberalizzazione del mercato. “A Napoli, ad esempio, questa situazione fa sì che solo pochissime imprese producano treni con gli standard richiesti, il che determina ritardi nella consegna dei mezzi”. E maggiori costi.
Un problema culturale
Ma il problema vero sembra essere quello culturale. Non si usa andare coi mezzi pubblici, e le abitudini sono difficili da cambiare. I progetti a Napoli e Palermo, che miravano a aumentare l’uso dell’autobus e del tram, “hanno subito notevoli ritardi”, e questo è un problema delle amministrazioni. Però, “una volta che i progetti sono stati completati, il numero effettivo di passeggeri è risultato significativamente inferiore a quello programmato”. Vuol dire che napoletani e palermitani non rinunciano alla loro auto. Non solo.
Nelle città prese in esame dalla Corte dei conti europea “incide anche il fenomeno dell’evasione”, ossia il mancato pagamento del biglietto da parte dei viaggiatori. Ad esempio, in base ai dati della società municipale dei trasporti, l’evasione a Napoli rappresenta circa il 33 %. Vuol dire che una persona su tre, quando usufruisce del servizio, non lo paga. Un fenomeno che spinge le amministrazioni locali a non investire, perché poi non rientrano dei costi sostenuti per l’ammodernamento dei trasporti. Anche quello dell’evasione è un problema di mentalità, che richiede tempo per essere risolto.
Le inefficienze producono l’effetto contrario
Ritardi, inefficienze e criticità hanno come risultato quello di produrre l’effetto contrario a quello atteso. A Napoli “le autorità cittadine hanno riferito che questo progressivo deterioramento del servizio di trasporto pubblico ha portato ad un incremento dell’uso dell’auto”. E’ la riprova del fallimento made in Italy