Qui o si fa l’Europa o si muore. C’è poco da dire, in questi giorni, entro una settimana, o si completa la svolta europea sull’economia o ci sarà poco da raccontarci dopo. Una settimana non per modo di dire: al massimo giovedì prossimo si dovrà tenere un nuovo Consiglio europeo in teleconferenza che dovrà sbloccare alcune partite fondamentali, senza le quali tutta l’Unione avrà un contraccolpo all’emergenza Coronavirus che potrebbe ucciderla, se non nei fatti, ma di certo nella sostanza.
Mentre la Commissione europea fa tutto quel che è umanamente possibile per coordinare gli sforzi degli Stati al fine di contenere i contagi, perché i presidi medici di protezione siano disponibili, perché gli ospedali abbiano ciò di cui necessitano per curare il malati, la partita dell’economia ha già visto segnare punti fondamentali, che però necessitano di essere completati, perché così non basta.
Servono soldi, tanti soldi, e servono progetti per trovarli. Fino ad oggi quelli che la Commissione ha trovato e ha iniziato a spendere e far spendere erano quelli già destinati ad altri scopi, ora ritenuti meno urgenti e dunque de-finanziati. Ma i soldi della Commissione non bastano, non sarebbero bastati mai e non lo sono ora, nell’ultimo anno del suo esercizio finanziario settennale, quando oramai poco è rimasto nel sacco. Il prossimo Quadro finanziario pluriennale è ben lontano dal trovare il consenso degli Stati, che fino a dieci giorni fa si accapigliavano su dei principi attorno a somme ridicole come 30-40 miliardi divisi tra ventisette nel corso di sette anni.
Ora dalla Banca centrale europea che rilancia il cosiddetto bazooka del Quantitative easing, aprendolo anche ai titoli privati, ne sono arrivati 80 al mese di miliardi, per i prossimi nove mesi e la presidente Christine Lagarde ha già detto che questo è solo l’inizio, che la banca è pronta a fare “tutto” per salvare le economie dell’euro.
E qui ora tocca agli Stati, ai governi, perché la Commissione, lo abbiamo scritto ieri probabilmente per primi, nelle prossime ore proporrà ai governi di sospendere il Patto di Stabilità. Dopo 15 anni di sacralità totemica (anche nel senso di immobile), si accantona uno degli strumenti più contestati da una parte degli europei e più amati da un’altra. Che probabilmente ha fatto del bene, in generale, ma anche molto male in particolare a Paesi come la Grecia e l’Italia. Non vogliamo giudicare in questa sede, ma la sostanza è che per le spese legate al Coronavirus (che vuol dire qualsiasi cosa, dal sostegno ai baracchini di gelati a quello all’alta moda, ai produttori di prosciutti, alla sanità militare, alla sanità pubblica, e tutto ciò che dal virus è stato infettato nel sistema economico) sono libere, ogni Stato può decidere di comprare, pagare, finanziare ciò che crede senza dover poi rispondere del saldo generale di bilancio a nessuno. Questo però lo si potrà fare solo se i governi, tutti i governi dei Ventisette saranno d’accordo, e qualche Stato piccolo ma più infettato da ideologie economiche completamente indifferenti alla realtà sociale, sarà portato a forza ad accettarlo. E andrà convinto, secondo noi, con qualsiasi mezzo, qualsiasi minaccia (ovviamente non con le armi) perché chi non capisce che in gioco o ci siamo tutti o non si salva nessuno, deve essere costretto alla resa politica. Non è più il momento dei “furbetti dei rebate”.
Per fortuna su un’altra partita importante la Commissione ha potuto far da sola: è finita l’epoca degli aiuti di Stato illegali alle aziende. Qui i governi non avevano voce in capitolo e Ursula von der Leyen con la sua vice Margrethe Vestager hanno deciso che se un’azienda ha bisogno di aiuto in questa fase a prendersi la responsabilità della concorrenza sono i governi.
C’è un altro membro della Commissione che sta lavorando intensamente su una difficile partita. Cerca di farlo il più possibile lontano dai riflettori, è questione che richiede discrezione sapienza diplomatica, oltre che determinazione. E’ Paolo Gentiloni che con il collega Valdis Dombrovskis e al presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, Lagarde e qualche altissimo funzionario sta cercando di stampare i “corona bond”. Da lì potrebbe arrivare un altro fiume di soldi per i Paesi dell’Unione, ed Emmanuel Macron e Giuseppe Conte stanno spingendo più che possono per arrivarci.
L’unità, forse un po’ forzata da Lagarde per partire con questo nuovo QE si potrà ritrovare tra gli Stati anche per questo progetto? Sono anni che si parla di Bond europei, ed anni che non si fanno passi avanti perché quelli che si definiscono “virtuosi” (adesso “frugali”) non si fidano degli altri governi, temono di dover pagare per “le pizze e le bevute” che un ex presidente dell’Eurogruppo (olandese) diceva essere le principali occupazioni degli italiani. Questa volta non si parla di occupazioni ma di preoccupazioni, che una volta tanto sono comuni a tutti: le aziende italiane che producono componentistica si fermano, perché si fermano anche le industrie tedesche che producono auto, e lo stesso vale per il latte olandese e mille altre cose che in questa economia integrata e interdipendente, per la quale anche uno stuzzicadenti per arrivare alla sua forma finale varca almeno un paio di confini, mettono tutti sulla stessa barca.