Il piano “Next Generation EU” da 750 miliardi di euro della Commissione europea rappresenta l’apice di una serie di misure messe in campo dalle istituzioni europee per fronteggiare i danni economici e sociali causati dalla pandemia di Covid-19. La sua eccezionalità sta nel fatto che la Commissione emetterebbe obbligazioni sui mercati finanziari per conto dell’Ue, per raccogliere i fondi da erogare principalmente attraverso sovvenzioni. Questo richiederebbe un aumento significativo del bilancio comune fino al 2% del reddito nazionale lordo dell’Ue e l’introduzione di risorse proprie dell’Unione, nella forma di carbon tax, web tax, o di una tassa sulle transazioni finanziarie.
Next Generation EU era peraltro stato preceduto da altre iniziative importanti quali il quantitative easing della Banca Centrale Europea, la cassa integrazione europea del Sure e la possibilità di ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) a condizioni minime per le spese sanitarie.
Queste misure incideranno sui piani di ripresa degli Stati membri ma anche, e forse in modo ancor più rilevante, sulle prospettive di integrazione dell’Eurozona e dell’Unione nel suo complesso. Proprio per questo hanno acceso un animato dibattito tra le forze politiche italiane. Dibattito che è destinato a infiammarsi in occasione degli imminenti appuntamenti istituzionali, a partire dal Consiglio europeo del 19 giugno che dovrà esaminare la proposta della Commissione e preparare la decisione finale, da prendere auspicabilmente già al vertice di luglio.
Il dibattito politico italiano
Nell’attuale assetto politico italiano, tutti i partiti sono costretti a fare i conti con le divergenze tra la loro visione dell’Europa e l’esigenza di trovare un difficile equilibrio all’interno delle rispettive coalizioni. Le forze di governo, il Partito Democratico (Pd) e il Movimento 5 Stelle, hanno accolto con grande favore la proposta della Commissione ma rimangono assai distanti su altre misure quali il Mes. Il segretario del Pd Zingaretti ha interpretato il Next Generation EU come il segno di un cambio di passo verso politiche espansive che da sempre fanno parte dell’agenda del partito e il fondo salva-Stati come una “grande opportunità per l’Italia”. Sulla stessa linea si colloca Italia Viva di Renzi. Di Maio, nella sua veste di titolare della Farnesina ed esponente di spicco del M5S, ha definito Next Generation EU “un grande risultato collettivo di collaborazione”, in linea con il piano strategico nazionale di ripresa che l’Italia sta elaborando. Tuttavia, il M5S continua a essere recalcitrante sul Mes, osteggiato dalla parte più radicale del Movimento. Questo confronto tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle ha costretto il Capo del governo a capriole linguistiche ed argomentative nel tentativo di trovare una soluzione accomodante e garantire la tenuta della maggioranza.
Il fronte del centro-destra appare ancora più diviso sulle misure annunciate dall’Ue, come del resto spesso accade sulle questioni europee. Diverse sono state le reazioni dei partiti al Next Generation EU: positivo Berlusconi, scettico Salvini, pessimista Meloni. Anche sul Fondo salva-Stati, Forza Italia si è detta favorevole ad “approfittare dell’occasione offerta da Bruxelles”, mentre la Lega e Fratelli d’Italia demonizzano il Mes come “una resa alla Germania” e “un’anticamera verso la Troika”.
Nemmeno sul piano dell’applicazione delle misure europee c’è stata concordia tra i partiti politici e d’altro canto non si è potuto instaurare un dibattito aperto e propositivo. La via scelta dal Capo del governo per discutere il piano di rilancio economico nazionale insieme a istituzioni europee ed internazionali e parti sociali, i cosiddetti “Stati Generali dell’economia”, ha incontrato le critiche di tutti i partiti politici, inclusi quelli di maggioranza. Per sedare il malcontento dei ministri del proprio governo e soprattutto del Pd, il premier ha chiarito che il piano di rilancio economico del governo, inclusi i progetti che dovranno essere finanziati dai nuovi strumenti del Next Generation EU, sarà elaborato nei prossimi mesi, e non in qualche giorno, evidenziando la rilevanza dei passaggi formali previsti a livello europeo. Non è stato invece possibile ricucire lo strappo con il centro-destra di Salvini, Meloni e Berlusconi, che hanno disertato l’appuntamento e si sono detti disponibili a discutere delle misure da inserire nel piano soltanto nelle sedi istituzionali.
Forze politiche divise e in cerca di una strategia coerente
La disomogeneità della visione del rapporto con l’Europa all’interno delle coalizioni ha ripercussioni anche sulla tenuta interna dei singoli partiti, soprattutto di quelli che hanno fondato il loro messaggio politico su approcci radicali e populisti all’Europa come il M5S e la Lega, che solo fino a qualche anno fa promuovevano l’uscita dell’Italia dall’Euro, e si sono poi ritrovati a ricoprire posizioni di governo che impongono un atteggiamento più conciliante e pragmatico di allineamento alle politiche di Bruxelles. Più comoda invece la posizione del Partito Democratico da una parte e di Fratelli d’Italia dall’altra, per i quali l’adesione e l’opposizione al processo europeo, rispettivamente, sono perfettamente in linea con la loro storia e con il ruolo che rivestono nell’attuale quadro politico nazionale.
In sostanza, il rapporto con l’Europa si ripercuote in modo spesso destabilizzante sull’attuale quadro politico italiano, sia sulle dinamiche maggioranza-opposizione che all’interno delle coalizioni e anche, in diversi casi, sulle singole formazioni politiche. La portata della crisi che stiamo vivendo, dal punto di vista umano, economico e sociale, imporrebbe una strategia ambiziosa e coerente scaturita da un patto di unità nazionale, che individui chiare priorità di intervento, al di là del mantra di un’Italia “green and smart”, per dare attuazione alle misure europee e non mancare un’occasione irripetibile di modernizzazione e riforma del Paese.
Tuttavia, gli scontri sui metodi e sui contenuti si sono fino ad ora giocati su un piano prevalentemente polemico anziché dialettico e in contesti extra-istituzionali, senza un reale confronto in Parlamento, il cui ruolo è stato fortemente ridimensionato a favore dell’esecutivo nel corso dell’emergenza. Ciò determina una situazione di incertezza circa le decisioni fondamentali da prendere nel piano di rilancio, incertezza che il nostro Paese non può permettersi e che rischierebbero di comprometterne la credibilità in Europa.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.