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La dimensione regionale nelle politiche UE, il ruolo dei principali attori nella politica regionale europea e gli strumenti attraverso i quali si cerca di raggiungere gli obbiettivi in materia di coesione e sviluppo sono stati al centro dei nostri articoli precedenti. Date queste premesse, è possibile osservare e capire meglio la complessa realtà delle differenze nei livelli di sviluppo nell’UE.
L’eterogeneità nel grado di sviluppo economico e di benessere tra diversi Stati membri è, infatti, un elemento caratterizzante del contesto dell’Unione europea. Paesi con alti livelli di PIL pro capite, elevati surplus commerciali, buoni tassi di crescita e bassi livelli di disoccupazione convivono con Paesi che raggiungono risultati meno soddisfacenti sotto tali aspetti. Emerge, quindi, una dicotomia tra un nucleo di Paesi centrali e periferici. A essere precisi, agli occhi degli europei si mostrano un centro e almeno due periferie: una a Sud, costituita dai Paesi mediterranei, e una a Est che coincide con i Paesi centro-orientali. Tuttavia, operare una distinzione su base nazionale tra Paesi periferici e centrali può essere fuorviante. Infatti, anche nei Paesi periferici esistono zone con livelli di sviluppo prossimi, o addirittura maggiori, rispetto ai valori medi europei.
Basti pensare che, nonostante si trovino in Paesi periferici, regioni come quelle di Madrid, Varsavia e Bucarest, oltre a essere caratterizzate da livelli di competitività ben maggiori rispetto ai territori circostanti, si posizionano su livelli simili o superiori rispetto alle regioni considerate parte integrante di quel centro d’Europa in contrapposizione all’Europa periferica.
Sviluppo territoriale e qualità delle istituzioni
È chiaro, quindi, che una riflessione sulle differenze territoriali nell’UE necessiti di un punto di vista che non sia Stato-centrico. La prospettiva per un’analisi delle disparità di sviluppo va quindi ricercata nella dimensione regionale dell’Unione europea. In primo luogo perché è a questo livello che emergono chiaramente gli elementi costitutivi dello sviluppo, come la localizzazione delle imprese e specializzazione produttiva, ma anche culture imprenditoriali e politico-amministrative. In secondo luogo perché, come abbiamo visto negli articoli precedenti, la politica regionale europea si è da sempre interfacciata con il soggetto pubblico regionale quale beneficiario degli interventi dei fondi strutturali e della politica di coesione.
Inoltre, se lo squilibrio territoriale è dettato da dinamiche economiche sviluppatesi nel corso del tempo, c’è un elemento politico da sottolineare per comprendere più profondamente le differenze insite nello sviluppo regionale nell’UE. Le strutture istituzionali, i modelli di governo e la qualità della classe politica, così come la trasparenza nell’azione amministrativa, le culture politico-amministrative e il ruolo della società civile contribuiscono in maniera fondamentale alla qualità delle istituzioni che tanto pesa sulle performance di un Paese o di una regione e sul suo confronto con i propri vicini.
Tali aspetti economici e politici si pongono alla base delle problematiche di sviluppo di alcuni contesti regionali europei, in modo particolarmente evidente in quelli periferici. Il persistere di uno stato di difficoltà di un dato contesto regionale è dunque frutto di problematiche strutturali che si sedimentano nel corso del tempo. La periferia mediterranea – a differenza di quella orientale – è da molto più tempo inserita nel contesto istituzionale europeo e, dunque, da molto più tempo beneficiaria della politica regionale. Nonostante ciò, il grado di sviluppo di molte regioni mediterranee si situa agli stessi livelli di regioni dell’est Europa. Da un’analisi degli indicatori risulta chiaro come le problematiche di tali contesti siano dettate da motivi simili e come in entrambe le periferie siano presenti le stesse difficoltà.
(Approfondimento a cura de Lo Spiegone. Vai sul loro sito per leggere tutto il testo)