Bruxelles – Green deal, transizione, sostenibilità, zero emissioni. E chi più ne ha più ne metta e certamente più ne metterà. In questi mesi è stata posta talmente tanta enfasi al progetto di trasformazione dell’economia europea in senso ‘pulito’, ecologico e a emissioni zero o quasi che tutti ne hanno parlato in ogni modo possibile e ognuno ha iniziato la corsa alla definizioni di piani di rilancio nazionale anche sulla spinta dei miliardi di euro che l’UE mette a disposizione, tra bilancio di lungo termine e meccanismo per la ripresa.
Ma in questa nuova corsa all’ora c’è un elemento che sfugge, e che resta quasi sottotraccia. La Commissione europea ora lo riporta a galla. E’ l’aspetto sociale, l’impatto che questa riconversione dei sistemi produttivi avrà sulla società. Un costo non indifferente. La transizione non è fatta solo di investimenti in nuove tecnologie, nuove fabbriche. Questa transizione richiede investimenti sociali sotto forma di programmi di riqualificazione e indennità di disoccupazione. Un investimento sociale che “potrebbe ammontare a 20 miliardi di euro o più fino al 2030”. Ecco allora che “il cambiamento strutturale, come la transizione verde, deve essere accompagnato da misure sociali per avere successo”.
I governi sono pronti? Sapranno davvero investire sui cittadini? L’esecutivo comunitario li avverte con l’analisi dell’occupazione e degli sviluppi sociali in Europa (ESDE). A Bruxelles specificano che “si tratta di un rapporto analitico e non di un documento politico”, ma le indicazioni che la Commissione europea offre agli Stati membri sembrano più per l’agenda di governo che altro. Il commissario per l’Occupazione e gli affari sociali, Nicolas Schmit, non fa che confermarlo.
“Il rapporto ESDE mostra che il rafforzamento dell’equità sociale è la chiave per superare la crisi“, dice il lussemburghese, laburista-socialista. “Ciò richiede che le persone siano al centro e in primo piano”.
Un avvertimento valido per Paesi come l’Italia, dove già anche prima della pandemia di COVID-19 la situazione non era propriamente delle migliori. “Diversi Paesi – Lussemburgo, Bulgaria, Italia, Malta e Paesi Bassi – hanno visto un aumento della percentuale di lavoratori a rischio di povertà monetaria (SDG 1) nel periodo 2015-2018″, rileva il rapporto.
Salari minimi e redditi minimi “adeguati” figurano quindi tra le risposte utili e suggerite ai governi. Queste misure “possono avere un effetto benefico sulla mobilità sociale degli europei”. Anche l’investimento in capitale umano è visto come elemento chiave per rispondere alle sfide in atto. Vuol dire maggiore livello d’istruzione, superamento dei divari di genere (quest’ultimo “porta a rendimenti particolarmente elevati”).