La prima e unica volta che mi sono permesso di dire la mia sulla questione COVID l’ho fatto proprio attraverso questa rubrica. Era il 19 di marzo, e in effetti non dicevo la mia sul COVID, ma dicevo la mia sulla percezione distorta della realtà.
Il post si intitolava “Tutto e il contrario di tutto”.
Da allora sono passati 8 mesi; gli ultimi avvenimenti, e più in generale certi atteggiamenti, mi hanno portato a fare questa riflessione.
Si parlava con un amico del perché di questo malcontento, cominciando dall’allergia alla mascherina, a finire con le vetrine spaccate in piazza, e a me è venuto da pensare all’incirca questo:
Quali che siano le misure di Conte o chi per lui, non verranno mai accettate di buon grado, non tanto perché la gente non arrivi fine mese*, ma per la difficoltà che abbiamo ad accettare il benché minimo cambiamento nella nostra società, o anche solo di poterlo immaginare, un cambiamento.
Questo pare essere un atteggiamento trasversale alla classe sociale e allo schieramento politico, e anche un atteggiamento abbastanza incosciente, nel senso di non-cosciente, non consapevole.
Di fatto, anche coloro che si dicono contro il sistema, sembrano difenderlo a spada tratta essi stessi, se non nei suoi principi, quantomeno nella sua concretezza.
Ci definiamo poveri ma abbiamo tutti lo SmartPhone. Non arriviamo a fine mese, ma appena finita la prima ondata di pandemia siamo (sono) andati tutti in vacanza in Sardegna o in Grecia, e poi a settembre abbiamo (hanno) ricominciato con gli aperitivi.
La questione è delicata. Tira in ballo la libertà personale; ma quale, libertà personale? La nostra, puramente occidentale, e propria degli ultimi 50 anni, che non è altro che uno sputo, messa a confronto al mondo intero e alla sua storia.
Che sia una situazione di merda, su questo non ci piove. Che serva una ridistribuzione delle ricchezze (penso ai plurimiliardari) non ci piove, che siano necessarie e urgenti nuove priorità (sanità, ambiente, ricerca, visione del mondo nella sua interezza) non ci piove.
Ma siamo onesti. Quanti di noi, facinorosi o colletti bianchi poco importa, sono disposti a privarsi del benessere che la nostra generazione si è illusa di poter avere in eterno?
Il COVID c’entra solo marginalmente in tutto questo, potrebbe essere forse la goccia che fa traboccare il vaso, ma di fatto si inserisce in un contesto sociale più ampio, non meramente sanitario.
Non vorrei essere nei panni chi di debba ora inventarsi le misure per combattere questa crisi, perché credo che tutto sia molto complesso.
Non sto dicendo di voler subire le decisioni, e neppure che i governi stiano facendo un ottimo lavoro. Sto dicendo che è una questione estremamente complessa, e che collaborare sarebbe più opportuno che remare contro.
Quello che voglio dire è che viviamo in Europa, che siamo stati degli immensi paraculi per dei secoli, e non potrà essere sempre così. Purtroppo, o forse a ben vedere, per fortuna.
Con quale criterio ci mettiamo a disquisire se chiudere i teatri sia meglio che chiudere i ristoranti, o se lavorare in fabbrica sia così diverso che lavorare come commesso da Gucci con barba curata e tatuaggi in bella vista? La realtà e che beh pochi di noi, toccati nel vivo, sono disposti ad arretrare anche solo di un passo nella propria posizione economica e sociale in cui sono beatamente e fortuitamente nati.
I musicisti vogliono suonare, i ristoratori ristorare, i tassisti portare in giro la gente. Per estensione i musicisti vogliono comprarsi delle Fender, i ristoratori il cacao proveniente da Cuba, i tassisti avere l’ultimo navigatore assemblato in qualche angolo sperduto della terra a costo zero.
Non siete incazzati perché non ci sono abbastanza fondi per la ricerca, e per la sanità, e per l’istruzione. Siete incazzati, dite, perché non arrivate alla fine del mese, o peggio ancora perché dovete mettere la mascherina.
Ma la nostra fine del mese prevede aperitivi, pantaloni, telefoni, abbonamenti a Netflix, acquisti su Amazon, due televisori, due macchine, 23 gradi in casa in inverno, 20 in estate.
Allora voglio dire, io non voglio fare i conti in tasca a nessuno, sono sicuro che c’è gente in Italia messa molto peggio di me e mi dispiace.
Ma il crollo del capitalismo, del consumismo, o in qualunque modo vogliate chiamare questa società bacata, non sarà indolore per nessuno. Dare la colpa agli stipendi dei politici (vergognosi o meno non è questo il punto) significa non avere la minima cognizione di ciò di cui stiamo parlando, di cosa comporta una crisi sanitaria e di cosa voglia dire rapportarsi con il resto del mondo a livello culturale ed economico.
Adesso vogliamo gli ammortizzatori sociali, mi pare giusto.
Ma dov’era tutta questa coscienza di classe, ogni volta che abbiamo preso e dato soldi in nero, ogni volta che abbiamo fatto 2 fermate di metro in croce senza pagare il biglietto anziché andare a piedi, quando abbiamo scelto chi far sedere in parlamento?
I nostri nonni hanno fatto la guerra nascondendosi in cantina o facendosi ammazzare sulle montagne. Noi rompiamo il cazzo se dobbiamo indossare una mascherina per sei mesi per proteggere chi ci sta accanto.
Non ci trovo nulla di eroico o di rivoluzionario.
*(A scanso di equivoci: non ho soldi da parte, ho lavorato negli ultimi anni a 4 spettacoli che sarebbero dovuti uscire nel 2020, che sono stati tutti cancellati. Tiro avanti come posso, e ho pianto quando ho visto la manifestazione dei bauli a Milano.
Capisco le persone in difficoltà, questo post non vuole metterne in discussione l’esistenza né la sofferenza)