Bruxelles – Entro il 2030 serviranno altri 11 milioni di operatori impegnati nell’assistenza agli anziani a causa dell’invecchiamento della popolazione europea. A dirlo è un nuovo rapporto della Commissione Europea elaborato dal Centro Comune di Ricerca (Joint Research Centre, JRC), che ha misurato l’impatto dei cambiamenti demografici sul fabbisogno di assistenza socio-sanitaria che si prevede per l’Unione Europea nei prossimi anni.
Secondo lo studio attualmente nell’UE la speranza di vita per chi ha 65 anni di età è mediamente di altri 20 anni, ma lo JRC stima che per circa la metà di questo arco di tempo si sia esposti all’alta probabilità di sviluppare malattie croniche dell’età avanzata. Con l’aumento dell’aspettativa di vita (che in quasi tutti i 27 Stati membri si avvicinerà ai 90 anni entro il 2060), e il conseguente prolungamento di questo periodo di vulnerabilità, crescerà anche il numero di pazienti che richiederanno assistenza a lungo termine (in inglese Long Term Care, LTC). La questione potrebbe lasciare spazio a una crisi sociale se non adeguatamente affrontata a livello sanitario e assistenziale.
Allo stato attuale, mentre il fenomeno può dirsi sotto controllo, il Centro Comune di Ricerca comunica che i sistemi di istruzione nazionali, la cui offerta formativa è regolata in base al fabbisogno di personale socio-sanitario esistente, riescono a coprire ancora la maggior parte della domanda di lavoro in questo campo. Ciò che spaventa per il futuro però, dice il JRC, sono i tagli della spesa pubblica nell’istruzione e nella sanità adoperati dai governi nazionali, una scelta che potrebbe portare gli Stati a mettersi nella condizione di non riuscire a rispondere adeguatamente ai problemi della realtà. Ancora più preoccupanti sono gli scenari prospettati dalla contrazione delle nascite nei Paesi occidentali e dal conseguente assottigliamento della popolazione giovanile: dietro l’angolo c’è il rischio che non ci sia una platea di personale medico, paramedico e di assistenti socio-sanitari sufficiente a soddisfare la domanda.
Rispetto a una possibile penuria di risorse umane, quasi impossibile da risolvere autonomamente per gli Stati, i ricercatori della Commissione indicano una probabile via d’uscita: la forza lavoro proveniente dagli altri Paesi europei e dai vicini Stati extra-UE. “Il potenziale dell’immigrazione per alleviare la carenza di personale nella sanità europea e nella LTC non è stato ancora sfruttato”, sostiene il Centro di ricerca. E le ragioni elencate sono numerose: “assenza di programmi di lavoro ad hoc per gli immigrati, carenza di strumenti che attraggano dall’estero operatori dell’assistenza a lungo termine, mancanza di un sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali, ostacoli all’integrazione degli immigrati nella forza lavoro”.
Nel 2018 nell’UE gli operatori impiegati nell’assistenza a lungo termine che lavoravano in uno Stato diverso dal loro Paese di origine erano 2 milioni. Almeno il 75 per cento di essi abitava in cinque Stati membri: Germania, Italia, Francia, Spagna e Svezia. In Germania e in Francia (in misura minore in Spagna e in Svezia), si concentrava una buona parte della forza lavoro straniera altamente qualificata esistente nell’UE in questo campo, mentre in Italia risiedeva circa il 38 per cento dei lavoratori immigrati nell’UE occupati della cura della persona. La quota dei lavoratori nel campo socio-sanitario e assistenziale è in costante aumento nell’Unione, come sostiene il JRC, e l’immigrazione potrebbe essere la via più immediata per permettere agli Stati di far fronte alla carenza di personale a cui sono destinati. Attualmente la Commissione europea, anche a tal proposito, ha lanciato il suo piano per la costruzione di un’Unione Europea della Salute e ha presentato un libro verde per aprire una consultazione pubblica sull’argomento.
Nell’allertare gli Stati membri su quello che potrebbe aspettarli il Joint Research Centre li ha invitati a non trascurare i vantaggi della tecnologia. “Bisogna tenere in considerazione il ruolo dell’intelligenza artificiale e in particolare le sue implicazioni sociali, etiche e occupazionali”. La sua efficacia, anche per i ricercatori del JRC, tuttavia, è ancora una questione aperta. “Esiste un punto interrogativo sul fatto che gli anziani siano in condizione di beneficiare dei vantaggi della tecnologia digitale. Guardando all’esempio della telemedicina, è chiaro che gli anziani siano ancora alle prese con ostacoli notevoli dovuti alla mancanza di accesso a internet e di competenze digitali basilari”.